Quando all’inizio della pandemia di Covid-19 il Primo Ministro israeliano dette al Mossad, cioè ai Servizi Segreti, l’incarico di procurare quanti più approvvigionamenti medico-sanitari, come tamponi e respiratori per le terapie intensive, fu subito chiaro che i contatti più importanti sarebbero stati proprio con quei paesi arabi che non riconoscono lo Stato Ebraico.
Il Mossad da allora, coadiuvato dai tecnici del Ministero della Salute, proprio da quei paesi è riuscito ad acquistare un quantitativo importante di questo tipo di forniture, un quantitativo che ha permesso ai maggiori centri medici della nazione di affrontare al meglio il dilagare del virus limitando al minimo i danni. Non è un caso che proprio Israele figura ai primi posti nella lista delle nazioni che, in percentuale sulla popolazione, ha registrato meno decessi. Solo in un secondo momento si è scoperto che la parte più importante di questi accordi segreti era stata portata a termine con i servizi segreti degli Emirati Arabi.
Il governo di Abu Dhabi, infatti, da tempo cerca di acquisire tecnologia israeliana in campo civile, soprattutto nel settore delle costruzioni, e in quello militare. Non potendolo ottenere in maniera diretta, prima dell’inizio della pandemia si era dovuto accontentare di ciò che era disponibile nel mercato parallelo pagando costi esorbitanti. Si trattava generalmente di apparati di seconda o terza mano e mai comunque di ultima generazione. Nel momento in cui il Covid-19 incominciava ad aggredire il mondo intero Israele, per non farsi trovare impreparata, ha iniziato la ricerca di tamponi e respiratori, ricerca che ha portato a volgere lo sguardo proprio verso gli Emirati Arabi che avevano un surplus di questo tipo di attrezzature.
La trattativa diretta fra nazioni che non si riconoscono dove ognuna delle due aveva a disposizione quello che l’altra cercava, è stata una sorta di “miracolo mediorientale” perché ognuno dei due poteva facilmente ottenere ciò di cui aveva bisogno. Nei media israeliani è apparsa spesso la notizia di aerei cargo che scaricavano materiale sanitario anche se la sua provenienza, almeno nelle prime fasi, era rimasta segreta. Oltre a non divulgare da dove quel materiale arrivasse, non era dato sapere quando quegli stessi aerei fossero decollati, per dove, e, soprattutto, cosa avessero trasportato nel volo di andata. Quando tutta questa storia verrà desegretata anche nei particolari, diventerà sicuramente la base per qualche romanzo di spionaggio.
Sia dal punto di vista umano che politico, non poteva non esserci negli accordi un capitolo riservato a forniture mediche destinate alla popolazione palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Per questo motivo, e anche nella speranza di una normalizzazione dei rapporti diplomatici con gli Emirati Arabi, Israele ha dato il permesso all’atterraggio, alle ore 21:39 del 19/05/2020 all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, di un aereo cargo emiratino che portava aiuti sanitari che il governo di Abu Dhabi voleva donare alla popolazione palestinese.
Ma c’è un ma. Anche se Omar Barghouti, il grande guru del Bds, l’organizzazione per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele, dopo aver ribadito in un video dal vivo la condanna alla “normalizzazione” dei rapporti con lo Stato Ebraico, aveva aggiunto, con tanti saluti al boicottaggio duro e puro di cui è stato il portabandiera fino al momento in cui il virus si è affacciato in Medioriente, che usare dispositivi medici provenienti da Israele, o un eventuale vaccino scoperto in Israele, non sarebbe stato un problema, altri esponenti del mondo arabo hanno preso strade diverse.
Se da una parte è comprensibile che anche i più “duri e puri” al momento del bisogno diventano meno duri e, soprattutto, meno puri, ciò che fa rabbia è la presa di posizione di Abu Mazen, Mahmūd Abbās, quello che per tanti anni è stato il vice di Arafat, quello che si è laureato nell’ex Unione Sovietica con una tesi che sminuiva la Shoah dimenticandosi che fu proprio l’Armata Rossa ad aprire i cancelli di Auschwitz. Lo stesso Abu Mazen che nel 2008 è stato eletto presidente dei palestinesi con un mandato di quattro anni e che nel 2020 sta ancora al suo posto e non ha alcuna intenzione di indire nuove elezioni presidenziali che, al contrario di Barghouti, ha deciso che gli aiuti provenienti dagli Emirati Arabi non saranno accettati perché sono passati da Israele.
Ora, considerando che il Covid-19 è un virus che colpisce i polmoni e non il cervello, è difficile capire il perché di questa decisione figlia di un principio che vede, da questo punto di vista nulla è cambiato, Israele come il nemico da abbattere. Un principio che funziona a corrente alternata visto che la presenza di prodotti israeliani nei territori palestinesi è massiccia. Gli aiuti emiratini alla popolazione palestinese fanno parte di un accordo più ampio stipulato fra Abu Dhabi e Gerusalemme e, in un momento delicato come quello attuale, permette l’arrivo a titolo gratuito di attrezzature che, se fossero state acquistate, sarebbero costate alle già vuote casse dell’Anp diversi milioni di dollari americani.
Ma Abu Mazen e i suoi, più realisti del Re, rifiutano di accettare ciò che qualsiasi altra nazione al mondo avrebbe accolto anche se a portare i doni fosse stato il Diavolo in persona. Ma Abu Mazen li avrebbe accettati anche dal Diavolo, a patto che non fossero passati per Israele… e pensare che Papa Francesco gli ha anche donato la medaglia dell’angelo della pace.
Davanti a prese di posizioni di questo tipo, tanto stolte per quanto inutili, torna in mente la barzelletta del cretino che si taglia i testicoli per far dispetto alla moglie che lo tradisce con un altro. In questo caso però non c’è da ridere, perché i testicoli che cadono a terra non sono quelli dei capi che comandano ma quelli della povera gente che, in caso di necessità, si ritroverebbe, in nome dell’idiozia e del delirio di onnipotenza del potente di turno, senza la possibilità di essere curata.
Michael Sfaradi, 22 maggio 2020