Metto sul mio stereo a pile, non si sa mai dovesse mancare l’energia elettrica, il 33 giri di Toto Cotugno e canto anche io che “sono un italiano vero” e rimpiango Sanremo, i giorni belli di quando nelle trasmissioni tivù c’era il pubblico, di quando un colpo di tosse non veniva ascoltato come il rimbombo di un proiettile, di quando era tutto “una rotonda sul mare”, di quando Giuseppe Conte faceva ancora l’avvocato e non il Presidente del Consiglio di un Paese che oggi deve affrontare il mondo con un Ministero degli Esteri che vendeva bibite allo Stadio di Napoli.
Mi sembra fantascienza. E forse più letale di qualsiasi virus. Perché lì, ce li abbiamo mandati noi. Come sempre. Da decenni. Alla fine come dice il portiere in livrea “perché la gente semplicemente non ha voglia di fare un cazzo”.
Gian Paolo Serino, 26 febbraio 2020