Se a Bruxelles qualcuno parlasse di Coronavirus, probabilmente gli eurocrati cadrebbero dal pero. Come Morgan a Sanremo, dopo la defezione di Bugo: “Che succede?”.
Almeno è questa l’impressione che si traeva, sabato, leggendo la missiva della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, pubblicata sulla Stampa. Uno scritto in cui la parola “Coronavirus” compariva una volta sola, quasi per caso, appiccicata alla buona tanto per dare l’impressione di essere sul pezzo. Il vero scopo era illustrare il glorioso programma politico dell’esecutivo europeo e, in particolare, di giustificare il colossale piano di aiuti economici da 100 miliardi (il Green New Deal), che a parole è una risposta alle rivendicazioni gretine, ma nei fatti è un sussidio (pagato da noi) alla transizione “verde” dell’economia tedesca.
In fondo, quest’Europa è talmente solidale, che una mano alla Germania la si dà volentieri. L’Unione è talmente unita, che gli Stati membri si sono messi in fila per offrirci mascherine antivirus, che l’Italia chiedeva per far fronte all’emergenza. E nessuno sospetta che a Bruxelles qualcuno possa approfittare della crisi sanitaria per rifilarci qualche fregatura, ad esempio anticipando la firma finale del trattato sul Fondo Salvastati.
D’altro canto, non si può mica pretendere che l’élite del Vecchio Continente si preoccupi del contagio. Ha problemi più seri: i viaggi. Prendete l’ex premier, Enrico Letta. Ecco il suo tweet accorato: “Ho viaggiato tanto, per lavoro e anche per curiosità. Dando per scontato che, col passaporto italiano, entrassi dovunque senza problemi.
Di colpo mi immedesimo nella vita di quei tanti cittadini del mondo per i quali la mobilità non è un diritto”. Quando si dice vivere su un altro pianeta: noi volgari populisti ce la facciamo addosso, perché il virus attacca i polmoni e le terapie intensive rischiano la saturazione. L’avanguardia intellettuale europea, invece, si preoccupa della “mobilità”. Non sarà che, anche in piena emergenza, il pensiero corre sempre prima agli stranieri? Specialmente se sono migranti, privati del diritto alla “mobilità” dai sovranisti insensibili?
Ecco, se c’è qualcosa che il Coronavirus non riesce proprio a contagiare, è l’universo parallelo degli chicchissimi cosmopoliti. Quelli che, qualunque cosa succeda, “ci vuole più Europa”. E magari, più aperitivi. Vero, Nicola Zingaretti? Al segretario del Pd e alla sua famiglia, ovviamente, auguriamo di sconfiggere prestissimo il Covid-19. Un auspicio di vero cuore. In momenti così, si diventa fratelli e le polemiche restano in freezer.
Un appunto di metodo, però, il governatore del Lazio ce lo concederà. Perché una decina di giorni fa, insieme al sindaco Beppe Sala, Zingaretti s’era prodigato per partecipare all’happy hour del Pd a Milano. Anche se gli eventi lasciavano già presagire che per il capoluogo lombardo, come per il resto del Paese, la cosa migliore fosse evitare gli assembramenti, mettendo in stand by la movida.
Perché, nella galassia degli intellò, si fatica tanto ad accettare che esiste un’emergenza? E perché, nel favoloso mondo progressista, un Paese in crisi sanitaria, peraltro membro del G8, dovrebbe “ripartire” dagli aperitivi?
Alessandro Rico, 8 marzo 2020