La pochette col vuoto attorno che risponde al nome di Giuseppe Conte deve aver perso definitivamente il contatto con la realtà (può capitare, specie se il tuo portavoce è Rocco Casalino). Nelle ultime ore, per dire, si è convinto di essere Xi Jinping, Segretario generale del Partito Comunista cinese, dal quale lo separa lo stesso abisso che c’è tra la tragedia e la farsa.
Mentre infatti in Italia scoppia un’infezione da Coronavirus che non ha pari nel mondo occidentale, e il Belpaese in pochi giorni scala le classifiche del contagio piazzandosi subito dietro la Corea del Sud e quel Dragone rispetto a cui il governo di Giuseppi ha già fatto da scendiletto sulla Via della Seta, il nostro ha il colpo di genio. Come rimedio alla figura barbina che sto incassando, dopo che ho impedito ai governatori di Lombardia e Veneto di effettuare la quarantena per chi rientrava dalla Cina, e il virus mi è esploso proprio lì? Semplicissimo, nella sua tortuosità logica: ribalto l’accusa sugli stessi governatori, e sulle strutture ospedaliere del territorio.
È lo schema perseguito dal dittatore Xi a Wuhan. Dopo che l’epidemia era deflagrata in barba a ogni iniziale tentativo di insabbiamento, è bastata una riunione del Comitato Centrale per trovare il colpevole: i vertici politici, amministrativi e sanitari locali, istantaneamente rimossi (si spera solo dalla carica, ma ricordiamo che si parla di un Paese totalitario che mantiene tuttora attivi più di 1400 campi di concentramento detti “laogai”). Una cara vecchia purga staliniana, né più né meno, utile a rafforzare l’immagine della cupola del Partito (la vera responsabile dei ritardi, se non della genesi del virus, come ha raccontato più volte Michael Sfaradi) e a serrare ancora di più il potere.
Dev’essersi convinto che era possibile tentare qualcosa di analogo, lo statista da Volturara Appula. “Tutti dobbiamo perseguire un coordinamento. Se non ci riuscissimo saremmo pronti a misure che contraggano le prerogative dei governatori”. “Se fosse necessario occorreranno misure centralizzate efficaci. Misure straordinarie”. Sta insomma invocando dei paramaoisti “pieni poteri”, la stessa espressione già (infelicemente) usata da Matteo Salvini e per cui lui si stracciava la pochette pubblicamente rifilando supercazzole sull’intangibilità della Costituzione a reti unificate.
Il Coronavirus come occasione per delegittimare ed esautorare un’intera classe dirigente locale, guardacaso collocata all’opposizione, guardacaso espressione dei modelli amministrativi di maggior successo del Paese. Solo che, come testimoniato appunto dall’esistenza di un’opposizione, non siamo (ancora) in Cina. Milano non è Wuhan, non lo è nemmeno Codogno, e Conte non è Xi. A pensarci, con quel maglioncino senza pochette che usa ultimamente, non è nessuno.
Giovanni Sallusti 25 febbraio 2020