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Coronavirus, la storia si ripete?

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Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.

Il 23 aprile sul New York Times Orhan Pamuk – turco, premio Nobel, autore del fantastico “Il mio nome è rosso” nel 2001 e di “Neve” (2014) uno dei libri che meglio spiega le radici del neofondamentalismo islamico.- presenta il suo nuovo romanzo “Nights of plague” che narra della pandemia del 1901 sterminatrice di milioni di uomini in Asia (molto meno in Europa). Lo scrittore nel suo articola ricorda come vi siano “most curious about similarities between the current coronavirus pandemic and the historical outbreaks of plague and cholera” molto curiose somiglianze tra l’attuale pandemia da Coronavirus e le storiche manifestazioni di peste e colera. Ricorda le descrizioni dell’epidemia ne “I promessi sposi” del 1827, i romanzi di Daniel Defoe come “The Journal of the Plague Year” (del 1722), la descrizione che Tucidide fa della peste di Atene nel 430 avanti Cristo, “La peste” di Albert Camus nel 1947.

Da queste lezioni alla fine dell’articolo trae questa lezione: “For a better world to emerge after this pandemic, we must embrace and nourish the feelings of humility and solidarity engendered by the current moment”. Perché emerga un mondo migliore dopo l’attuale pandemia, dobbiamo abbracciare e alimentare i sentimenti di umiltà e solidarietà generati dall’attuale momento. Ottimo proponimento che diverrebbe ancora più interessante se accompagnato da una riflessione sugli effetti che le grandi epidemie ebbero nelle diverse situazioni.

La peste ateniese vide la fine di Pericle e l’avvio del declino del grande centro che aveva guidato il rinascimento delle città stato greche. La peste di Costantinopoli nel 541 frenò il tentativo di Giustiniano di ricostruire un unico impero romano. Quella del 1300 in Italia non impedì il Rinascimento ma fu la base per la costruzione di stati nazionali europei che poi disgregheranno il nostro Paese. La peste di Londra aprì la fase di un grande sviluppo britannico.

Insomma grandi progetti che falliscono e grandi progetti che invece nella tragedia trovano la via per costruire nuove imprese. Niccolò Machiavelli ha ripetutamente spinto a ragionare sulle antiche esperienze perché in fin dei conti gli uomini al fondo restano uguali: in che misura questo insegnamento resta valido anche nella nostra stagione? Si può considerare che gli esiti fondamentali di un’epidemia possano essere quelli di imbalsamare una realtà che già di suo tendeva a fossilizzarsi (come nell’Atene di Pericle o nella Costintinopoli di Giustiniano) o possono essere la pur terribile base per aprire un nuovo scenario come nella Londra di Defoe?