8. Come mai si continua caparbiamente a ignorare l’operazione dei corpi speciali della polizia, iniziata il 1° aprile – i russi si sono ritirati il 30 marzo – di bonifica da esplosivi, sabotatori e collaborazionisti? Ne dà notizia, quel giorno, la stampa ucraina. E poi non si sa come si a andata, se abbiano trovato collaborazionisti o meno.
9. Come mai sono apparse su Telegram conversazioni che maledicono Boatman per aver rovinato tutto con i suoi video? “Eravamo d’accordo – lo era, non lo era – gonfiamo per il bene di un pubblico europeo impressionabile, finalmente ci passano armi pesanti e difesa aerea. Cioè, i nostri “alleati” sono tali che non gli bastano gli attacchi missilistici sulle città, per loro. Ok, stiamo lavorando. L’informazione principale è andata, lo straniero l’ha raccolta… e poi la Guardia Nazionale e il Nostromo sono usciti dalla tabacchiera come un coglione con i loro video divertenti sulla pulizia di Bucha…”.
10. Perché, intervistato dalla stampa italiana, al becchino di Bucha non viene fatta la più semplice delle domande: come mai ha rischiato la vita per inumare i morti nella Bucha occupata dai russi e, quando i russi se ne sono andati, li ha lasciati invece per strada?
11. Come mai quelle vittime sono state lasciate per settimane, secondo la foto satellitare, senza un solo gesto di pietà, come se fossero morti altrui, da schivare e basta?
12. Come mai la Croce Rossa Internazionale non è stata convocata subito sul luogo del massacro?
Non devo ripetere a ogni passo che non sono filoputin, né filorusso. Sono solo convinto per esperienza che purtroppo la guerra è il regno dell’odio, delle vendette, delle manipolazioni. In guerra puoi essere disciplinato, se la combatti o te ne fai travolgere. Se sei giornalista, anche quando hai chiaro dove risieda la ragione e dove il torto, dove l’aggressore e dove l’aggredito, sai che le linee nette del Bene e del Male vengono scavalcate con facilità, e resta il dovere di ragionare sui fatti, anche quando non coincidono con la tua visione delle cose, e specie quando fanno fare alla guerra un salto di qualità, come una chiamata alle armi.