Corte costituzionale, la nomina a sorpresa a cui pensa il governo

Entro dicembre l’esecutivo deve nominare 4 giudici. Il Guardasigilli Nordio è la carta di Meloni

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meloni corte costituzionale

Divide et impera. Anche a Corte. Riequilibrare la Corte Costituzionale è uno degli obiettivi della maggioranza che sostiene il governo Meloni. E anche su questo tema si alzerà a breve la tensione con il più autorevole ex giudice costituzionale: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Con la mancata sostituzione di un posto vacante su cui è difficile mettere d’accordo maggioranza e opposizione si è giunti, come si dice nei corridoi, alla prassi delle nomine «a pacchetto», per consentire una migliore spartizione tra i partiti. Da qui a dicembre ci si dovrà pronunciare sulla nomina di quattro nuovi giudici costituzionali.

Un’intesa del Parlamento che deve deliberare in seduta comune sarà necessaria per evitare la paralisi della Corte in quanto il «quorum funzionale» prevede, affinché una seduta sia valida, che siano presenti almeno undici giudici su quindici. A fine anno verranno infatti a scadenza – dopo la vacatio per la sostituzione della Presidente Silvana Sciarra, da sette mesi non ancora sostituita nonostante la legge imponga tempestività – altri tre giudici: il presidente Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Lo scontro sarà al calor bianco. A sorpresa, voci insistenti danno in pole position il Guardasigilli Carlo Nordio, sempre più a suo agio nella Capitale e nei circoli romani in cui viene spesso visto nuotare a dorso ricevendo apprezzamenti dalle signore della «Roma bene».

In punta di diritto, tuttavia, tra i requisiti per diventare giudice della Consulta, occorre essere, o essere stato, professore di materie giuridiche o avvocato con un’anzianità almeno ventennale: requisiti che il ministro non possiede. Per ovviare al tecnicismo sembra che al dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi stiano pensando ad una norma ad hoc. Ma se a destra molti puntano sul liberale Nordio, la parte più giustizialista della sinistra vuole tentare di nuovo la carta Luciano Violante. Oggi l’ex «tutto» può contare su un super jolly: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il cattolicissimo Alfredo Mantovano. La segretaria del Pd, Elly Schlein, lontana dalle logiche di Palazzo, sta visionando diversi curricula, tra cui quello di Massimo Luciani – docente di diritto costituzionale alla Sapienza – che, seppur in odore di conflitto di interessi per aver patrocinato diverse cause alla Consulta, ha qualche chance in più rispetto a Vincenzo Cerulli Irelli, professore di diritto amministrativo sempre a Roma, che, buon per lui, ha più vitigni teramani che pubblicazioni internazionali.

Anche la Lega vorrebbe dire la sua, proponendo Ginevra Cerrina Feroni, docente di diritto costituzionale italiano e comparato a Firenze nonché vicepresidente dell’Autorità Garante della Privacy. Meloni e soprattutto Salvini sono ben coscienti delle nomine sempre più politicizzate della Consulta. L’ennesimo segnale è arrivato quando la Corte stessa ha bocciato la decisione del Senato di concedere l’immunità parlamentare al leghista Armando Siri per alcune intercettazioni di sei anni fa che lo avevano coinvolto in un’inchiesta sull’eolico in Sicilia. I magistrati, secondo Palazzo Madama, una volta accertato che una delle persone casualmente intercettate era un parlamentare, avrebbero dovuto sospendere l’attività e chiedere l’autorizzazione a procedere.

La Corte Costituzionale invece, ha ritenuto corretta la prassi delle cosiddette «intercettazioni a strascico» in cui si acchiappa tutto, comprese le «specie protette» e, forse, specialmente quelle. Esattamente il contrario della linea dell’Esecutivo e di un garantista gentiluomo come Nordio. Per i giudici costituzionali eletti dal Parlamento in seduta comune si è sempre seguita la regola che prevede la scelta di tre membri indicati dalla maggioranza e di due indicati dall’opposizione. Il processo tuttavia non è così veloce. Nel 2014, quando l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, evidentemente seccato dai quattro mesi trascorsi e dalle venti votazioni a vuoto perché non si trovava un accordo sulla nomina di Violante, decise di anticipare di tre settimane quelle di sua competenza, scegliendo una giurista di sinistra, Daria De Pretis e uno di destra, Nicolò Zanon, di area berlusconiana.

Pure Mattarella, vero dominus anche della Corte, ha giocato d’anticipo quando designò nel 2023 Pitruzzella e Sciarrone Alibrandi. Il capo dello Stato ha ampia discrezionalità nella scelta dei cinque giudici costituzionali che gli spettano. Francesco Cossiga, nel 1991, nominò senza esitazioni Giuliano Vassalli, partigiano, storico esponente del Psi ed ex ministro della Giustizia. Era il ’95 e Oscar Luigi Scalfaro scelse Gustavo Zagrebelsky, loquace giurista di sinistra che, da gennaio a settembre del 2004, al termine del suo mandato, è stato presidente della Corte. E non si esimette, con altri due ex presidenti della Consulta – Valerio Onida e Gaetano Silvestri – a firmare un appello, nel 2022, contro l’ipotesi di Silvio Berlusconi al Quirinale: «Un’offesa solo candidarlo».

Oggi, sulle riforme del governo Meloni, afferma che «In Italia il presidenzialismo rischia di fondarsi sull’odio». E così via, con altri giureconsulti posizionati platealmente a sinistra da Fernanda Contri, prima donna nominata alla Consulta, a Guido Neppi Modona. Nel 2009 la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale il Lodo Alfano, che prevedeva la sospensione dei processi per le alte cariche dello Stato. E mentre Umberto Bossi minacciava la rivolta popolare e Silvio Berlusconi definiva la Corte «di sinistra», il Presidente Napolitano accettò, sine glossa, il giudizio della Corte. Lo stesso Napolitano che nel 2013 nominò Giuliano Amato, importante esponente del Psi, giudice costituzionale. A fine mandato, anche per Mr. Sottile l’ambita presidenza. È l’unico finora ad aver ricoperto l’incarico di presidente del Consiglio e della Corte Costituzionale. Dopo la mancata nomina a presidente della Repubblica, per lui tuttavia non è valso il «non c’è due senza tre».

Luigi Bisignani per Il Tempo 7 luglio 2024

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