Una Corte che non conti. Mandarini in grande agitazione. Il Quirinale si era appena rasserenato grazie alla «melina» sulla riforma del premierato quando ha dovuto subito rizzare le antenne su un altro argomento spinoso che sta molto a cuore alla maggioranza: mettere a briglia corta la Corte dei conti. E il freno del governo sulla Corte potrebbe essere solo l’antipasto per un ridimensionamento anche del Consiglio di Stato e dell’Avvocatura di Stato, così temono i magistrati contabili riuniti in infuocato direttivo della loro Associazione nazionale. Ma con l’ambizione di «fare la storia», c’è il rischio che si butti il bambino insieme all’acqua sporca.
Ossessionati dal «Deep State», lo «Stato dentro lo Stato», formato da burocrati, militari e servizi segreti che sopravvivono ad ogni cambio di esecutivo, molti esponenti della maggioranza gridano all’allarme, denunciando presunte cospirazioni contro il governo. Il termine «Deep State» proviene dal turco «Derin Devlet», concetto che risale al 1923, quando il generale Mustafa Kemal Ataturk, fondatore della Repubblica Turca, creò una struttura laico-militare per sostenere la rivoluzione controil Sultanato ottomano. Ed ecco che, condizionato dalle storie cospirazioniste del passato, da Ataturk alla Cia, dalle lobby finanziarie ai Kingsman cinematografici e ai tecnocrati che conoscono ogni segreta regola dei Ministeri, il governo, insediatosi due anni fa a Palazzo Chigi, non riesce ancora a liberarsi dal timore di essere sabotato da oscuri poteri.
A partire da Giorgia Meloni, che preferisce tenere i poliziotti lontani dai suoi uffici, al recente episodio in Senato del 19 settembre scorso durante il convegno «1862/2024: una Corte dei conti sempre più utile al Paese». L’appuntamento, come dice il titolo, avrebbe dovuto celebrare l’organo al quale la Costituzione affida, agli articoli 100 e 103, il controllo preventivo sugli atti del governo e quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e degli enti a cui lo Stato contribuisce. E invece è stato apparecchiato un pubblico processo. Fin dalle relazioni iniziali – tra lo stupore generale di tutti i civil servant presenti e di un centinaio collegati via web – alcuni magistrati della Corte, tra i quali Tommaso Miele, presidente aggiunto in uscita, noto in passato per gli insulti a Matteo Renzi e aspirante candidato a una delle tante Authority con poltrone in liberazione, e Roberto Benedetti, pensionato, già presidente della Sezione di controllo Lazio della Corte dei conti che aveva tentato di entrare nella giunta Rocca, hanno in pratica espresso favore alla riforma dell’organo costituzionale.
L’arringa finale l’hanno fatta poi alcuni esponenti della maggioranza, trasformando così il convegno in una sorta di «cronaca di una morte annunciata»: dal simpatico sottosegretario «pistolero» alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove (FdI) agli onorevoli Pietro Pittalis (FI) e Stefano Candiani (Lega), sino alle conclusioni del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il nuovo «dottor Sottile» di Chigi, lo storico soprannome di Giuliano Amato. È stato, insomma, un continuo «j’accuse» verso Corte dei conti. A molti esperti della res publica le modalità sono sembrate addirittura inquisitorie, mentre il diritto di difesa se l’è accollato la brava ex ministra Maria Elena Boschi di Italia Viva, la leggendaria «MEB» ai tempi del governo Gentiloni, oggi paladina solitaria. Più che un convegno sembrava quasi un de profundis e, certamente, un prologo al tentativo di accelerare l’approvazione del disegno di legge di riforma che ridimensiona i poteri giurisdizionali della magistratura di viale Mazzini, firmato dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti, impegnato anche sul blocco dei procedimenti già avviati dalla Corte dei conti a carico degli amministratori pubblici.
C’è da chiedersi se questo atteggiamento del governo serva a precostituirsi un alibi al prevedibile scenario di una superficiale programmazione e gestione del Pnrr: lanciare il messaggio politico che il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dal Pnrr sia dovuto al ruolo frenante della Corte dei conti, invisa a Palazzo Chigi per aver «osato» denunciare i ritardi delle attività della macchina pubblica. Un «processo» del controllato al controllore che, al Quirinale, appare però incauto visto che la Corte si è anche opposta a prorogare lo scudo erariale approvato dal governo Conte I nel 2020 per accelerare le procedure amministrative nel periodo del Covid e prorogato da Draghi fino al giugno 2023 proprio per facilitare l’iter burocratico dei progetti del Pnrr.
Tolti i fronzoli, il proposito di fondo sembra però proprio quello di un consistente smantellamento delle funzioni giurisdizionali e di un potenziamento delle funzioni di controllo della Corte dei conti: si intenderebbe, in particolare, rafforzare in particolare le funzioni preventive di legittimità sugli atti per rendere permanente la misura dello scudo erariale, limitando ai casi di dolo la responsabilità dei funzionari. Così, la Corte dei conti verrebbe affogata di verifiche e quesiti salvacondotto, distogliendola dalle altre e più incisive funzioni di presidio di sana gestione e di legalità dei processi della spesa pubblica. Viatico di un futuro ennesimo scontro istituzionale che potrebbe sfociare dinanzi alla Corte Costituzionale per conflitto tra i poteri dello Stato o di legittimità costituzionale.
Il presidente Mattarella, in veste di arbitro, si ritroverebbe ancora a cercare di scongiurare il rischio che la Corte dei conti venga ridimensionata ad una semplice Authority o ad un’Agenzia pubblica per i controlli interni. E i «cugini» mandarini del Consiglio di Stato si stanno già attrezzando, temendo di essere i prossimi a finire sotto la scure delle riforme, nonostante l’attuale presidente Luigi Maruotti – che in molti ritengono ben lontano dal carisma dei suoi predecessori, da Franco Frattini a Filippo Patroni Griffi – sembri voler tenere un profilo basso, sperando forse in un futuro più roseo alla Corte Costituzionale, con la benedizione di Palazzo Chigi.
Ma con due guerre potenzialmente nucleari in corso che bussano fuori dalla porta, c’era proprio bisogno di creare quest’altro trambusto con un organismo costituzionale che, se si mette davvero di traverso, può bloccare persino il bilancio dello Stato? Chi semina vento raccoglie tempesta
Luigi Bisignani per Il Tempo 29 settembre 2024
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