“Si può prendere la Cina come modello di risposta all’epidemia? Dal 23 gennaio, la Cina ha montato un esperimento di quarantena di proporzioni mai viste. Chiusi dal primo giorno di emergenza a Wuhan e nello Hubei aeroporti, linee dell’alta velocità, fabbriche, uffici e scuole. Questo perché in Cina non ci sono appelli alla responsabilità, ma ordini di stare chiusi a casa senza uscire. Il campionato di calcio costato centinaia di milioni in ingaggi di giocatori stranieri è stato congelato dalla sera alla mattina. Nessuno si è sognato di lamentarsi. E per una volta, anche questa mancanza di discussione sul tema andrebbe presa a modello”.
No, non si tratta di un articolo del Global Times, quotidiano subordinato alle volontà del Partito Comunista cinese, e neanche di una nota del governo di Pechino; stiamo parlando di un articolo del Corriere della Sera, a firma di Guido Santevecchi, del 9 marzo 2020. Già il titolo è eloquente: “Coronavirus, così il modello cinese ha funzionato: solo 36 nuovi casi a Wuhan”. Lo è ancor di più il sottotitolo: “Forse, il modello cinese funziona e se si vuole seguirlo va fatto subito“. Insomma, poco più di due anni fa, la stampa e la politica italiana tessevano gli elogi di quello che, in Cina, è diventata una vera e propria forma di contenimento della popolazione. E le proteste di Guangzhou, Pechino, Urumqi, Wuhan e molte altre città ne sono una rappresentazione lampante.
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Pochi mesi fa, in Italia, si avallava il celeberrimo “modello cinese”, che predisponeva l’obbligo agli abitanti del Dragone di non uscire di casa, neanche per fare la spesa; dove i positivi venivano (e vengono) trascinati fuori dalle loro case e portati in centri adibiti alla circoscrizione del contagio. Quel modello, fatto di controlli orwelliani, lockdown e restrizioni illiberali, ha trovato applicazione (e, soprattutto, compiacimento) anche all’interno dei confini di uno Stato democratico: il nostro Paese.
Mentre, nel marzo 2020, i quotidiani mainstream si compiacevano dai loro salotti, i droni del governo Conte controllavano le strade, la polizia girava con le luci blu accese, elicotteri bloccavano il pranzo di Pasqua sulla terrazza di un condominio. Insomma, scene di ordinaria follia, ma che evidentemente rispondevano a quel carattere comunista, autoritario, illiberale che risiede (e che non viene neanche troppo mascherato) in buona parte dell’area progressista.
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Ed ora che succede? L’esatto opposto. Gli stessi chiusuristi, che due anni fa ci davano lezioni e tacciavano di negazionismo chi esprimeva un minimo di sensibilità verso le libertà rinchiuse ai domiciliari, oggi ci viene a fare la lezione sugli errori del modello Covid-zero, sull’insostenibilità delle chiusure di Xi Jinping. Un cortocircuito senza precedenti.
Lo stesso Santevecchi, sempre sulle colonne del Corriere della Sera di oggi, offre una chiara dimostrazione: “Xi Jinping e compagni tecnocrati sono finiti nel guado di una crisi economica e sociale che si sono inflitti da soli, inseguendo il sogno irrealizzabile di eliminare il Covid-19 dal territorio nazionale, per dimostrare la superiorità del modello autoritario e repressivo al caos occidentale”. Rileggiamo: “Il sogno irrealizzabile di eliminare il Covid-19”? Probabilmente, era un omonimo Santevecchi che il 9 marzo 2020 parlava di successo del modello cinese, senza che nessuno si fosse “sognato di lamentarsi”. Insomma, come a sottolineare la diligenza del popolo cinese, a differenza di noi ribelli italiani, che non si adattano alle regole governative.
Lo ha ben ricordato anche Nicola Porro nella zuppa di oggi. Oltre al crollo dell’economia di Pechino, causa i sistematici lockdown, “erano gli stessi giornali a ricordarci quanto fosse bello il modello cinese di contenimento del Covid”. E ancora: “Noi abbiamo fatto i droni come i cinesi, i lockdown come i cinesi, il green pass come i cinesi, i controlli come i cinesi. Di che stiamo parlando? Come i cinesi, abbiamo violato le libertà e abbiamo perso il 10 per cento di Pil”. Insomma, chi ai tempi citava Milton Friedman, secondo cui una misura statale temporanea diventa poi una misura statale permanente, in fondo non aveva tutti i torti. E la Cina ne sta offrendo un chiaro esempio.
Matteo Milanesi, 29 novembre 2022