Andrea Orcel, il numero uno di Unicredit, è quello che si definirebbe, in finanza, un trader opportunista.
Uno che non si fa grandi problemi. Non se ne fece quando «consigliò» al Monte dei Paschi di Siena di comprarsi l’Antonveneta per 9 miliardi di euro, nonostante fosse in «leggero» conflitto di interessi. Non se ne fece quando chiese ad Ubs di rilasciargli le azioni, che normalmente si perdono quando si passa ad un concorrente, e non se ne fece con i passati governi e direttori del Mef che gli chiedevano di comprarsi Mps e che Orcel mandò a stendere. E non si è fatto alcun problema all’inizio di questa settimana a lanciare una scalata ostile nei confronti della Banca popolare di Milano, senza neanche avvisare il governo. In realtà una telefonata a Palazzo Chigi è arrivata, ma un’ora prima dell’ufficialità.
Orcel, interrogato dalla commissione parlamentare inglese che indagava sullo scandalo delle manipolazioni del tasso Libor, rispose: «We all got probably too arrogant», probabilmente siamo diventati tutti troppo arroganti. Un tratto che vale anche per la sua ultima mossa. La scalata alla Banca popolare di Milano non è esattamente un’operazione politicamente neutra. L’istituto guidato da Giuseppe Castagna stava lavorando da tempo per mettere in piedi un terzo gruppo bancario italiano. Aveva comprato dal Tesoro un pezzo del Monte dei Paschi di Siena e aveva lanciato un’offerta per comprarsi la totalità di una delle poche fabbriche di risparmio gestito rimaste in Italia, Anima. Si sarebbe creato un terzo grande operatore italiano, accanto all’unica banca di sistema, Intesa, guidata da Carlo Messina, e ad Unicredit, appunto. In un sistema industriale come il nostro, solo il Cielo, forse più del mercato, sa quanto sia necessaria la presenza di più operatori di grandi dimensioni che credano nel nostro sistema paese. Il predecessore di Orcel, proprio in Unicredit, aveva dato mandato ai suoi di fare molta attenzione al cosiddetto «rischio Italia». Il che vuol dire stringere i cordoni del credito, immaginate un po’ voi, quando si parlava di operazioni straordinarie. Fu lo stesso che vendette ai francesi un pezzo importante del risparmio gestito italiano; lo stesso risparmio gestito che oggi Orcel si vuole riprendere conquistando per via Bpm, la controllata Anima. Una certa schizofrenia nella policy della banca, ma questo è un altro discorso.
Con la scalata a Bpm inoltre, Orcel ha ribadito che non ne vuole sapere del Monte. Il che vuol dire che il cerino ritorna in mano al Governo, che ne è ancora azionista.
Orcel da trader opportunista non sta facendo altro che il suo mestiere e cioè massimizzare le opzioni, o se preferite, tenere il piede in più scarpe. Sta cercando di scalare una grande banca tedesca, ma è bloccato dalla crisi politica a Berlino. E nel frattempo mette un chip sullo scacchiere italiano. Cercando di mettere le mani sulla banca che insiste sul territorio più ricco del paese. L’offerta che ha fatto è secondo il mercato, ridicola. Il prezzo è troppo basso, peraltro pagato, come si usa, solo con carta. Tutti si aspettano un rilancio.
E comunque ha spostato la palla in avanti: l’assemblea per emettere nuove azioni con cui comprare eventualmente il Banco si terrà ad aprile. Nel frattempo non solo ha bloccato il tentativo del governo di costruire un terzo polo, ma ha paralizzato anche il numero uno di Bpm, Giuseppe Castagna che, essendo sotto scalata, non può fare alcuna operazione straordinaria: per dire non potrebbe aumentare la sua offerta su Anima, alzando il prezzo, se fosse necessario. Orcel per fare questa operazione da 10 miliardi, come suo costume, non solo non ha avvisato il governo, ma non ha advisor e nessuno ha ascoltato. Si dirà, è il mercato bellezza. Mica tanto, pensando che stiamo parlando di banche.
Uno degli slogan che molti politici a destra come a sinistra sventolano è quello che in Europa ci vorrebbe un’Unione bancaria. Sapete cosa vuole dire? Banalmente, che oggi in Europa, per quanto riguarda gli istituti di credito, esistono ancora 27 nazioni indipendenti e autonome. Unicredit controlla Hvb, in Germania. Mai e poi mai, per le regole teutoniche, la controllata tedesca può ridurre il proprio capitale in Germania per operatività fuori dal suo paese. I bilanci delle banche europee sono come segregati: nonostante Milano controlli Berlino, il capitale di quest’ultima non può essere assorbito oltre i confini. Altro che libero mercato. Senza parlare dei fondi interbancari nazionali che non garantiscono i depositari di altri stati.
In uno scenario di questo tipo, a Palazzo Chigi e dalle parti del ministero di Giorgetti, stanno pensando alle contromosse. Nulla di clamoroso. Per carità. Ma hanno capito che non basta difendere il fortino delle Generali, per garantire che le leve finanziarie italiane non siano in mano a qualche trader opportunista.
Nicola Porro, 28 novembre 2024
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