Nel 1956 lo psicologo sociale polacco Solomon Asch osserva quanto sia forte la pressione esercitata dal gruppo sul singolo individuo e dimostra in modo assai convincente il forte impatto che la formazione di massa impone, facendo addirittura modificare azioni, giudizi e percezioni visive di un membro all’interno di un gruppo. Effettua l’esperimento poco tempo dopo la Seconda guerra mondiale, per fare luce sui motivi per cui le assurde teorie del nazismo e dello stalinismo avessero avuto una presa così forte sulla gente. Nell’esperimento, in cui la maggior parte delle persone si era appiattita a un’informazione falsa, si distinsero pochi che si collocavano trasversalmente ai raggruppamenti sociali, non irretiti dalla narrazione imposta e che provavano a dichiarare la loro posizione contraria a voce o con i fatti. Persone siffatte fanno la differenza, si distinguono naturalmente dalla massa, perché hanno dei principi e li perseguono senza farsi soggiogare dal potere imperante, sono allenate al vero, non hanno bisogno di uniformarsi agli altri, sono autentici e liberi.
Antonio Martino era uno di questi. Ed è infatti impossibile parlare del professore senza parlare di libertà.
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Fu un liberale della scuola di Friedman e Nicola Porro ebbe l’opportunità di conoscerlo quando era solo un ragazzo: “Alla fine del 1988 si presentò al congresso del Partito liberale con indosso un paio scicchissimo di ghette. Lo conobbi là: tenne un discorso contro l’obbligo del casco, si candidava alla segreteria del partito. Dissero che si trattava di provocazioni. Non lo erano: né l’una né l’altra. Pensava veramente a un partito di liberarli che non fossero lab e credeva veramente che all’inferno si scendesse a piccoli passi: prima l’obbligo del casco, poi i lasciapassare. Nessuno ebbe più applausi di lui e al contempo meno voti per la segreteria”.
La sua intelligenza libera si mise poi al servizio di una grande avventura politica, nel 1994 viene eletto alla Camera dei deputati e ministro degli affari esteri in Forza Italia. Ed è proprio in quell’anno che il Nostro viene nominato suo portavoce e ha così modo di lavorare fianco a fianco al suo maestro. Condivide con lui viaggi ed esperienze che gli permisero di saggiare fino in fondo l’autorevolezza di quel gran liberale che scambiava battute con la Thatcher, discuteva con Hayek, sfotteva Montanelli, parlava un inglese perfetto dal podio delle Nazioni Unite, assaporava il successo politico del G7 a Napoli, senza mai rinunciare alle sue care abitudini, come leggere un’oretta di Wodehouse prima di atterrare, concedersi un bicchiere di whisky, fumare una delle sue contingentate Winston: non più di una dozzina al giorno conservate in una vecchia scatola di liquirizie. “È una cosa difficile da spiegare. Era come se Martino fosse sempre un passo indietro e una spanna avanti”, racconta Porro. La discesa in campo di Silvio Berlusconi sembrò poter realizzare il sogno di un partito liberale di massa; tuttavia, com’ebbe a dire il professore: “Forza Italia è stata annacquata dal suo successo. Col passare del tempo, diventando il più grande partito italiano, si è riempita di socialisti e cattolici che non erano liberali”.
Cos’è dunque un liberale?
Se lo si fosse chiesto a Antonio Martino, avrebbe risposto così: “Sono favorevole a qualsiasi provvedimento accresca le libertà personali, quindi sono reazionario per recuperare libertà che sono state perdute, conservatore per difendere libertà ancora esistenti, rivoluzionario quando la situazione non ci consente altre vie per tornare liberi, progressista sempre perché senza libertà non c’è progresso. Sembrerebbe quindi che sono un animale pieno di contraddizioni. No, sono un Liberale! Un liberale deve essere tutte queste cose in una volta, perché il problema è che la libertà ha tante facce, ci sono libertà che esistevano e non ci sono più, ci sono libertà che esistono e vanno difese, ci sono libertà nuove da conquistare anche con la rivoluzione o con le riforme e sono progressista perché senza libertà non c’è mai stato progresso”.
Dopo tutto si tratta di una forma mentis che va al di là dell’economia e della politica, è un’ottica aperta, creatrice, tanto che il professore non aveva dubbi che questa mentalità umana fosse innanzitutto divina: “Il Padreterno è liberale. Su questo non si discute. Assolutamente. Il concetto di peccato e quello opposto di virtù hanno senso soltanto se la persona è libera di scegliere l’uno o l’altro. Se costretta a fare peccato non è peccato, perché manca la volontà. Quindi la costruzione religiosa, cattolica e no, è legata alla libertà di scelta. La libertà di scelta è il liberalismo, il Padreterno è il più grande liberale della storia”.
In fondo alla stanza, vicino al finestrone, oscurato da una tenda a strisce, con il posacenere in vista e le foto dei grandi attorno, su quella poltrona, che prima era stata del nonno e poi del padre, stava Antonio Martino. Lì, certo dell’amore della sua vita, Carol, poteva finalmente godere dell’otium conquistato sul campo e mettere a parte dei suoi preziosi ricordi qualcuno che con lui li aveva condivisi, Nicola Porro. Maestro e discepolo si trovano infine più maturi, avvolti da una stima reciproca e affettuosa che avrebbe permesso loro di parlare zibaldonescamente di tutto, con l’intento poi di farne un libro. Il 5 marzo 2022, tuttavia, il Nostro si è trovato a scriverlo da solo, ma forte e ricco di ricordi indelebili con il suo maestro, così come gli aveva insegnato: “Se lei investe in ricordi ottiene qualcosa che è solo suo e che non può essere rubato, tassato, confiscato, invidiato. L’investimento in ricordi è il modo migliore per impiegare i propri soldi. […] Grazie a Dio ho vissuto una vita lunga e interessante. E per questo sono ricchissimo di ricordi. Che sono solo miei. E che nessun ministro delle Finanze può permettersi di tassare”. Ne è nato un testo vivo, attuale e ricco di insegnamenti: “Il Padreterno è liberale”, Antonio Martino e le idee che non muoiono mai.
Fiorenza Cirillo, 12 gennaio 2023