Giorgia Meloni indagata per il caso Almasri è ovviamente una notizia. Dunque sacrosanto campeggi sulle prime pagine di tutti i giornali: accadrebbe ovunque nel mondo. Ciò che tuttavia dimostra la scarsa cultura giuridica di questo Paese rovinato da Tangentopoli e da venti anni di antiberlusconismo è l’isteria con cui la politica, ma anche i media, stanno affrontando la questione. State calmi, signori: la premier è “solo” indagata.
Per carità, la manovra di accerchiamento puzza di politica lontano un miglio: l’esposto è stato presentato dall’avvocato Luigi Li Gotti, già parlamentare con Antonio Di Pietro. Il procuratore che ha firmato l’atto è Francesco Lo Voi, lo stesso del fallito processo a Matteo Salvini per sequestro di persona. La procura avrebbe potuto buttare tutto nel cestino, ritenendo – come successo in altri casi – “manifestamente infondate” le denunce avanzate da Gotti. E ha ragione da vendere Carlo Calenda quando afferma che indagare per una evidente ragion di Stato un Presidente del Consiglio è “surreale”. Senza dimenticare che le polemiche e gli scioperi sulla riforma della giustizia conferiscono al tutto una tempistica più che sospetta.
Però siamo ancora alla fase meno di zero: tecnicamente parlando, la Procura ha solo avvisato la premier, Alfredo Mantovano, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio che ha provveduto a iscrivere i loro nomi e i presunti reati nel registro delle notizie di reato, così come sono state circostanziate nella (paradossale) denuncia. Un atto che in teoria sarebbe a tutela dell’indagato, cioè di Meloni&co, ma che l’Italia manettara ha trasformato in un marchio d’infamia per chi finisce sotto la lente della magistratura. Come previsto dalla legge costituzionale, la procura ha ricevuto la denuncia dove venivano ipotizzati il favoreggiamento e il peculato e – “omessa ogni indagine” – l’ha trasmessa al Tribunale dei ministri, dandone comunicazione agli interessati. Adesso il collegio dei tre magistrati indagherà entro 90 giorni e deciderà se archiviare il tutto o inviare gli atti alle Camere per chiedere l’autorizzazione a procedere. È qui che si spera che ogni accusa possa cadere, con decreto non impugnabile, visto l’atto evidentemente politico del rimpatrio di Almasri. Dice bene il viceministro Paolo Sisto: “Ci aspettiamo un gesto conseguente di immediata richiesta di archiviazione, questo può dirci che non c’è una magistratura che va oltre l’adempimento dei suoi doveri”.
In un Paese normale, avremmo accolto la notizia con tutte le cautele del caso. Avremmo criticato l’assurda manovra di Luigi Li Gotti, il quale evidentemente ne sa una più del diavolo ed era conscio del gran caos che avrebbe provocato. Un uso politico della giustizia da manuale. Avremmo storto il naso di fronte alla rapidità con cui la Procura ha spedito il fascicolo avanti, senza ritenerlo infondato per chiudere la partita. Ma niente di più, né da una parte né dall’altra. La vera battaglia sarà da combattere tra tre mesi, quando il collegio del Tribunale dei ministri deciderà se chiudere tutto in un cassetto o istituire un nuovo, direi assurdo processo in stile Open Arms.
Giuseppe De Lorenzo, 28 gennaio 2025
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