L’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi ha presentato dalle colonne del Financial Time un manifesto programmatico come fosse in procinto di concedersi alla disponibilità di una responsabilità di governo. Per Draghi la depressione economica causata dalla crisi straordinaria che investe il mondo va neutralizzata con un finanziamento titanico proporzionale alla vastità, mai sperimentata in precedenza, dell’epidemia pandemica.
Nel 2015 Mario Draghi con il Quantitative Easing, uno strumento di politica monetaria espansiva per stimolare la crescita economica, ha sostenuto il mercato dei titoli di stato pubblici europei e contribuito a mitigare gli spread dei paesi del Mediterraneo, riuscendo a domare le resistenze tedesche. All’ex banchiere centrale gli viene riconosciuto il merito di aver stabilizzato l’area euro, accreditandosi come uomo di stato dal profilo internazionale. Un profilo tecnico con una visione politica che si conferma nei passaggi affidati al quotidiano finanziario britannico: “La perdita di reddito subita dal settore privato, ed il debito raccolto per colmare la differenza, devono alla fine essere assorbiti, in tutto o in parte, dai bilanci degli Stati. Livelli di debito pubblico molto più elevati diverranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati da cancellazione di debito privato”.
In sostanza Draghi elogia l’indebitamento come esigenza inderogabile di uno stadio postbellico, perché la dimensione e la ferocia delle criticità odierne sono assimilate ad un teatro di guerra, e smantella quel cardine contabile su cui si è fondata l’Unione Europea ad egemonia dei paesi rigoristi capitanati dalla Germania.
Un ulteriore passaggio significativo del suo intervento dimostra la perentorietà di interventi obbligati senza i quali si verrebbe inghiottiti dalla voragine provocata dallo smottamento economico: “Non è sufficiente rinviare il pagamento delle tasse: bisogna immettere subito liquidità nel sistema, e le banche devono fare la loro parte, prestando denaro a costo zero alle imprese per aiutarle a salvare i posti di lavoro. I costi dell’esitazione sarebbero irreversibili”. In definitiva, il sistema economico-sociale rischia di essere sepolto dalla valanga di una depressione economica a cui occorre opporsi erigendo una barriera aggregata da mattoni di liquidità monetaria.
Una considerazione merita il timing con cui Draghi ha esposto il suo pensiero a poche ore dalla riunione del Consiglio europeo in cui si è accertata la spaccatura fra i paesi sostenitori degli eurobond o coronabond e i paesi rigoristi. Le vestali del rigore non cedono, nonostante la drammaticità della contingenza destinata a degenerare in strutturale privazione in assenza di interventi poderosi, ad una applicazione flessibile degli istituti vigenti come il Mes e all’emissione di eurobond per reperire risorse. Una rigidità dogmatica che certifica il crepuscolo di un’Europa che non riesce a liberarsi dei vizi egoistici che in tempi ordinari potevano avere una loro legittimità, ma nella straordinarietà corrente sono espressioni blasfeme di quei postulati di solidarietà con cui la visione apologetica europeista ha fuorviato il popolo.
L’ex banchiere ha voluto comunicare ai paesi più ostili ai provvedimenti di mutualizzazione del debito che il rischio di un default sistemico è reale e la reazione non può essere timida e ordinaria. Le aziende con l’azzeramento dei ricavi e i costi fissi inalterati sono obbligate a chiudere, trascinando nel tunnel i lavoratori privati di reddito, in una prospettiva di paralisi economica ed ecatombe sociale.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha più volte perorato l’unità nazionale per gestire l’attuale fase di criticità e chissà che il suo appello non sia stato preparatorio per uno scenario alternativo all’attuale con l’autorevolezza di Mario Draghi a semplificare il coagulo di una maggioranza parlamentare che avrebbe lo storico mandato di traghettare la nazione in sicurezza.
Andrea Amata, 27 marzo 2020