Politica

Cosa unisce De Gasperi a Meloni

© pisauikan tramite Canva.com

Chissà se in questo agosto pieno di veleni attorno ai suoi cari Giorgia Meloni ha trovato il tempo per riflettere su Alcide De Gasperi, il presidente del Consiglio più settentrionale della storia della nostra Repubblica e il più longevo senza bisogno di premierato e autonomia differenziata. Eppure, per il 70esimo anniversario della sua morte, non è sfuggito ai più il silenzio delle nostre due donne della politica: il capo del governo e il capo dell’opposizione Elly Schlein.

Meloni ha preferito celebrare mesi fa i cinquant’anni dalla scomparsa di JRR Tolkien, autore de “Il Signore degli Anelli”, l’altra almeno evocando un riferimento politico – ha ricordato i 40 anni dalla morte di Enrico Berlinguer. Quanto è diversa, e non solo per la differenza dei tempi, la storia dei due presidenti del Consiglio, De Gasperi e Meloni. Parlamentare dell’Impero austro-ungarico, del Regno d’Italia e della Repubblica Italiana, De Gasperi, dal suo Trentino, comprese più di tutti l’importanza dell’unità d’Italia, difendendola sia dall’esterno contro Jugoslavia, Austria e Francia, sia dall’interno, tenendo uniti il Nord e il Sud. Puntando sullo sviluppo del Sud, creò la Cassa per il Mezzogiorno, altro che reddito di cittadinanza.

Per Giorgia, invece, il rapporto con il Sud è conflittuale: sa bene che è un importante bacino elettorale, ma gli scambi di battute con il pirotecnico presidente della Campania Vincenzo De Luca e, soprattutto, le ultime votazioni sembrano allontanarla sempre più dagli elettori meridionali. De Gasperi, antifascista e anticomunista, era convinto che fascisti e comunisti fossero mossi dal risentimento, al contrario dello spirito democristiano, il cui rispetto nei confronti del popolo, delle istituzioni e di chi le rappresenta, al di là del colore, è una componente fondante della “vera” politica. Un po’ come sta facendo oggi il rinsavito Antonio Tajani con Forza Italia sullo ius scholae. Per la Meloni, invece, appare impossibile cancellare il peccato originale della sua provenienza dalla Destra storica, così come smarcarsi dal vecchio “cerchio” per poter volare ancora più in alto, grazie allo straordinario consenso personale di cui gode.

De Gasperi non ruppe con il Pci per puro capriccio o per qualche ministero, ma per l’adesione alla Nato anziché al Patto di Varsavia, come avrebbero voluto Togliatti e Stalin. Una decisione che direzionò il futuro dell’Italia, creando un’architettura ancora oggi valida, seppur qualche sprovveduto ciarli di assurdi legami con Russia e Cina. Il Trentino ripeteva spesso: «La politica interna ed economica si imposta sempre in rispetto della politica estera» e amava anche dire: «Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni. Un politico cerca il successo del suo partito, uno statista quello del suo Paese».

Chissà cosa avrebbe pensato nel vedere l’attuale governo italiano che, perla prima volta, non ha votato la fiducia alla Presidente della Commissione europea, lui che, con Adenauer e Schumann, fu precursore e fondatore dell’Europa Unita, dando vita alla Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Un premier così visionario che, assicurata la democrazia agli italiani con la Costituzione, capì che l’indipendenza energetica del Paese era essenziale per la crescita, e allora nominò Enrico Mattei all’Agip per farne la gloriosa Eni.
Sull’approccio strategico e lungimirante, in effetti, Giorgia non è da meno: sta cercando di far partire il cosiddetto Piano Mattei, pur dovendo fare i conti con le scarse disponibilità e le enormi difficoltà socioeconomiche dei Paesi coinvolti.

I viaggi all’estero di De Gasperi segnarono la crescita del Paese nel Dopoguerra, a cominciare dal prestito di 100 milioni di dollari ottenuto dagli Usa nel 1947. La politica estera di Meloni, in attesa del “big bang” delle elezioni americane, finora è stata per conquistarsi un ruolo nel panorama internazionale. Purtroppo, ad un certo punto, ha deciso di negare il voto dell’Italia al rinnovo di Ursula von der Leyen. Quando De Gasperi insieme a Togliatti firmò il decreto sul diritto di voto che permise alle donne di partecipare al referendum su monarchia e repubblica isolata, proprio mentre si scelgono i nuovi commissari europei ed è pure in procinto di lasciare l’amata presidenza dei Conservatori Europei.

Una presidenza di cui si faceva vanto, al punto da andare in Spagna a gridare: «Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy italiana, soy cristiana».
Andreotti, che parlava di De Gasperi chiamandolo sempre «il Presidente», mi raccontò un particolare dell’entusiasmante campagna elettorale del ’48, quando «il Vecchio» riunì tutti i candidati al Parlamento e disse loro: «Cercate di non promettere più di quello che potete mantenere, perché la politica vuol dire fare». E De Gasperi, non promettendo, ma facendo, creò: 300mila alloggi popolari, la Cassa del Mezzogiorno nel 1950, nel tempo realizzò 16mila km di collegamenti stradali, 23mila km di acquedotti, 40mila km di rete elettrica, 1.600 scuole e 160 ospedali.

Grazie al Piano Marshall, 100 volte l’attuale sbandierato Pnrr, realizzò la riforma agraria, che sancì l’esproprio coatto delle terre ai grandi latifondisti e la redistribuzione ai braccianti agricoli. E firmò, con Palmiro Togliatti, il decreto sul diritto di voto che nel 1946 permise alle donne di partecipare al referendum tra monarchia e repubblica. Delle promesse di Meloni in campagna elettorale si potrebbe parlare per ore, ma basta citarne una: quella della difesa a oltranza dei balneari che oggi osservano, sgomenti, il governo tornare alle linee proposte da Mario Draghi.
Mutatis mutandis per passare a tempi e temi più leggeri, l’immagine rimasta impressa di Alcide De Gasperi è quella austera, con l’abito grigio indossato alla Camera o sulla spiaggia con la famiglia.

Per Meloni, invece – ambasciatrice italiana d’eleganza e mai vista due volte con lo stesso abito – sono rimaste le smorfie di insofferenza in qualche occasione ufficiale. Come quando alla Camera, durante la commemorazione di Satnam Singh – il bracciante che dopo aver perso un braccio sul lavoro è stato abbandonato ed è poi morto – disse, stizzita, ai suoi vice Tajani e Salvini «Rega’, arzateve pure voi». È facile pensare che De Gasperi, avrebbe optato per un più istituzionale: «Signori deputati, alzatevi anche voi». Già nel febbraio 2023, a pochi mesi dalla vittoria alle Politiche, Ernesto Galli della Loggia scriveva: «Giorgia Meloni, per ora, non ha seguito la strada tracciata da De Gasperi nel 1948». Entrambi si sono trovati a vivere una situazione politica totalmente nuova. De Gasperi riuscì a gestire l’arrivo al potere dei cattolici, compiendo un’importante opera di mediazione, allargando la base di consenso per il governo.

Giorgia Meloni, che guida il primo governo di destra nella storia della Repubblica, ha scelto invece di arroccarsi a Palazzo Chigi, dopo aver concesso ai suoi alleati il minimo contrattuale. Riuscirà a tradurre il risultato personale visto che i fedelissimi le procurano solo imbarazzo – in un impulso di crescita per il Paese? Troverà, lei che ama tanto prepararsi perla discussione dei dossier, il tempo per studiare l’opera di Alcide De Gasperi?

Un’ultima osservazione: per il Vaticano, De Gasperi non è ancora beato anche perché nel frattempo è stato incaricato un nuovo postulatore. Cercano la prova del miracolo? Ma il miracolo c’è stato: ha realizzato l’unico miracolo italiano!

Luigi Bisignani per Il Tempo 25 agosto 2024