Luca Ricolfi fa un passo in avanti sul libro di Roberto Vannacci. E ne fa una analisi per così dire sociologica, che tocca quel principio della “eterogenesi dei fini” di cui spesso si parla anche a sproposito. Ovvero quando un’azione produce un effetto diverso, e spesso opposto, a quello sperato.
In un interessante articolo pubblicato sul Messaggero, Ricolfi analizza il modo in cui i “media progressisti” hanno messo in atto “una delle pratiche meno scientifiche (e meno professionali) del mondo dell’informazione”: hanno scelto un nemico, lo hanno sottoposto ad un’analisi più o meno approfondita “per isolarne i passaggi più scottanti e discutibili”, li hanno estrapolati dal contesto “trascurando del tutto le argomentazioni (spesso assai articolate)” e hanno dato il via ad una “lapidazione dell’autore” pure “incuranti della pubblicità gratuita” che gli stavano offrendo. E così anziché produrre “indignazione nell’opinione pubblica”, come risultato Repubblica e soci hanno finito col far balzare il tomo in cima a tutte le classifiche. Anche sopra Michela Murgia.
Non solo, scrive Ricolfi sul Messaggero. Anche la rimozione di Vannacci da parte delle autorità militari “pone le basi per farne un eroe nazionale, o meglio una sorta di ‘profeta armato’ della parte più conservatrice del Paese”. Insomma: volevano fargli un torto, hanno finito col renderlo “ricco” e famoso.
Infine, il sociologo avanza un ragionamento sulla “libertà di espressione”. “In quali casi si possono punire le persone per le loro idee? – si chiede – E soprattutto: chi è titolato a punire? Solo la magistratura, o anche i superiori gerarchici di chi esprime idee inaccettabili? E inaccettabili per chi?”. Non è un caso se anche molti pensatori di sinistra si sono schierati a difesa del generale, compreso il comunista Marco Rizzo. Il motivo è semplice: “L’intervento contro il generale – dice Ricolfi – si basa sì sui contenuti del suo libro (definiti “deliranti”, o “farneticanti”), ma non poggia sulla individuazione di alcun reato, né di opinione né di altro tipo, connesso alle idee ivi espresse”. Non ravvedendo alcun tipo di reato nel testo di Vannacci, dunque, è evidente che ci troviamo di nuovo di fronte ad un pericoloso caso di tentativo di bloccare la libertà di espressione. Metodo che ormai viene applicato sempre più spesso in “aziende, nelle università, negli apparati pubblici”.