Così il deep state ha tramato contro Trump

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Immaginate se si scoprisse, un domani, che il generale Figliuolo ha tenuto colloqui riservati con i capi dell’opposizione, in merito al depotenziamento del premier Mario Draghi. E se spuntasse, magari da uno scoop di un editorialista politico, che lo stesso generale era solito tenere riunioni con i capi dell’intelligence per sabotare le direttive del presidente del Consiglio italiano, arrogando a sé ogni potere militare e mettendone a conoscenza le potenze straniere. Tutto questo, nel Belpaese, difficilmente potrebbe accadere. Dato che i militari, dai tempi del Duce, non hanno più contato molto. Salvo riesumarli, ciclicamente da parte di qualche penna autorevole, per minacciosi quanto ipotetici golpe di Stato. Ovvero come spauracchio per forze politiche giudicate troppo indisciplinate e riottose.

Tradimento, generale anti-Trump sotto accusa

Questo è invece lo scenario che si profila oggi in America. Dove è finito sotto la graticola – con l’accusa di sedizione e tradimento da parte dei Repubblicani – il capo di stato maggiore dell’Esercito Mark Alexander Milley. Il generale viene pesantemente coinvolto nel nuovo esplosivo libro Peril, firmato dal leggendario cronista investigativo del Watergate Bob Woodward e dal collega Robert Costa. I due analisti di punta del Washington Post hanno ascoltato centinaia di fonti della Casa Bianca, del Pentagono, dei servizi segreti, e hanno ricostruito alcuni dei momenti più convulsi durante il passaggio di consegne tra l’uscente presidente Donald J. Trump e il suo successore Joe Biden. Un passaggio di testimone avvelenato, in cui Milley avrebbe rivestito un ruolo da king-maker. Ma all’interno di quello che gli americani chiamano il “deep state”. Lo Stato occulto e parallelo, sinora riferito, da parte dei media, al solo Trump e al movimento dei suoi seguaci di Qanon.

Secondo gli autori del libro, il generale statunitense avrebbe oltrepassato in più occasioni il suo ruolo, impedendo a Trump di disporre dei codici delle armi nucleari – sebbene Trump non abbia mai dichiarato di volerle utilizzare – e accentrando a sé ogni potere strategico. Secondo quanto riportato dal sito Usa Today, Milley avrebbe istruito i vertici in carica al comando centrale militare, nella “war room” del Pentagono, “di non prendere ordini da nessuno senza il suo coinvolgimento”. La decisione di accentrare nelle mani del super generale tutti i poteri operativi miliari sarebbe stata assunta (e quindi condivisa) durante una serie di vertici top secret tenuti da Milley con alti dirigenti della Cia, del Pentagono e in due contatti riservati avvenuti con gli allora leader democratici dell’opposizione, alla Camera e al Senato, rispettivamente Nancy Pelosi e Chuck Schumer.

Potenziale golpe

Ma c’è di più, e di più grave, nelle pagine del già annunciato bestseller. Sinora agli americani è stato sempre raccontato che l’unica potenziale insurrezione (sventata) è stata quella avvenuta il 6 gennaio dentro Capitol Hill, da parte dei militanti trumpiani e dei suprematisti bianchi. Se fosse vero quanto ricostruito da Woodward e Costa, in realtà sarebbe stato il pluridecorato generale Milley, decano delle forze armate Usa, ad aver messo in atto un potenziale golpe. Un atto di sovversione “effettuato da persone non elette e non responsabili. Se fosse vero, questo sarebbe un fatto senza precedenti: sarebbe tradimento ed è un crimine” ha dichiarato il popolare giornalista di Fox News, Tucker Carlson, martedì scorso in prima serata durante il suo show.

A gennaio 2021 Milley sarebbe stato pronto anche a rimuovere con la forza dalla Casa Bianca il presidente Trump, di cui era il più alto consigliere per le strategie militari, da lui ritenuto “una seria minaccia alla stabilità del Paese” in quanto aveva messo in discussione la legittimità delle elezioni. Durante un colloquio tra il generale e Nancy Pelosi, la portavoce alla Camera gli avrebbe detto testualmente: “Trump è matto. Sai che è matto… E’ matto e quello che ha fatto ieri dimostra ancora di più la sua pazzia”. Replica del generale: “I agree with you on everything”. “Concordo su tutto”.

L’asse con la Cina

Oltre ad aver sabotato l’autorità di Trump, il capo degli Stati maggiori riuniti delle forze armate americane è accusato, dalle colonne del Washington Post, di aver tenuto due conversazioni molto scottanti, una a ottobre e una a gennaio, con l’avversario principe degli Usa: la Cina. Il 30 ottobre 2020, quattro giorni prima delle Presidenziali, Milley si confronta con il suo omologo a Pechino, il generale Li: “Voglio assicurarti che il governo americano è stabile e tutto andrà per il verso giusto”. In un altro passaggio della telefonata, il generale Usa si sarebbe spinto oltre la consueta riservatezza che i suoi gradi impongono: “Non stiamo preparando nessuna operazione contro di voi. Generale Li, noi ci conosciamo ormai da cinque anni, se dovessimo attaccare, vi informerei in anticipo. Non sarà una sorpresa”.

Vari esponenti politici repubblicani, tra cui il senatore della Florida Marco Rubio, hanno già dichiarato che se le accuse del libro fossero comprovate, il generale Milley dovrebbe dimettersi immediatamente e presentarsi davanti al Congresso per aver violato gli articoli 92 e 94 del Codice di giustizia militare, che riguardano accuse pesantissime come la sedizione e il tradimento. Ai militari non solo è vietata ogni attività di “intelligence col nemico”, ma anche intervenire in ogni tipo di operazione politica, che non sia di semplice consulenza per il loro ruolo, e che vada a minare l’autorità eletta legittimamente in carica. A partire, ovviamente, da quella del presidente degli Stati Uniti, che è anche il capo delle Forze Armate.

Media mainstream elogiano Milley

E mentre i media dell’informazione mainstream, a partire dalla Cnn, elogiano in coro Milley come l’eroe che avrebbe sventato un potenziale attacco alla Cina con armi nucleari, il generale si è limitato a far trapelare che non ci sono mai stati vertici segreti al Pentagono ma solo due “chiamate di routine” per rassicurare Pechino sulla tenuta del governo americano. Semplici azioni di diplomazia militare, “per non dare segnali di aggressività né di passività” all’esterno.

Vere o false che si rivelino queste ricostruzioni, l’America oggi si è svegliata in un clima più cupo. Con la popolarità del presidente Biden in caduta e con un sempre più impacciato segretario di Stato Antony Blinken inchiodato sulla disastrosa ritirata dall’Afghanistan e su tutto quello che ancora potrebbe capitare agli americani rimasti a Kabul. Ormai al presidente Usa pare essere rimasto, in pubblico, il solo argomento dell’obbligo vaccinale, esteso a tutta la popolazione eccetto che ai parlamentari e agli impiegati delle Poste. Ma anche quest’argomento, di giorno in giorno, assomiglia sempre più a un’arma. Non nucleare, ma di distrazione di massa.

Beatrice Nencha, 16 settembre 2021

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