Esteri

L'immigrazione irregolare

Così Johnson blocca il business dei migranti: voli in Ruanda e ingresso a punti

Da oggi, il governo Johnson procederà all’attuazione del piano che prevede il trasferimento in Ruanda degli immigrati irregolari

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Ci siamo. A partire da oggi, martedì 14 giugno, partiranno i primi voli che trasferiranno 79 immigrati irregolari dal Regno Unito al Ruanda. Il governo di Johnson ha già stanziato la cifra di 120 milioni di sterline allo Stato africano.

Il piano di Boris Johnson

Diventa ufficialmente operativo l’accordo firmato tra Londra e Kigali. Dietro il pagamento di somme in sterline, scaglionate in un arco temporale di cinque anni, il Ruanda garantirà l’accoglienza dei migranti entrati illegalmente via mare nel Regno Unito, indipendentemente dalla loro nazionalità. L’accordo trova un’eccezione per i minori non accompagnati, a cui sarà garantito il rifugio in Uk.

Il piano dei conservatori ha suscitato forti critiche, sia dall’opposizione labour che dalle Nazioni Unite, portando quattro richiedenti asilo ad avviare un’azione legale contro il Paese britannico. Questo perché, a bordo degli aerei, ci sarebbero alcuni migranti legittimati a rimanere nel Regno Unito, in quanto originari di zone di guerra, come Siria ed Afghanistan.

La stessa agenzia Onu per i rifugiati denuncia “problemi di etica e diritti umani”, perché si tratterebbe di una “esternalizzazione degli obblighi di asilo in uno Stato terzo, a migliaia di chilometri dal territorio di approdo”. Nonostante tutto, si tratta pur sempre di un accordo bilaterale tra due nazioni, rispettivamente sovrane ed indipendenti, che riguarda soggetti senza il permesso di entrare su suolo britannico.

Detto ciò, gran parte del racconto mainstream pare omettere le regole che i governi inglesi, ormai da anni, stanno attuando per garantire una rigida politica di contenimento del fenomeno. Sicuramente severe, ma che portano, nel giro di poche generazioni, ad essere funzionali all’accrescimento di un’immigrazione selezionata, competente, vitale per società, politica ed economia del Paese.

La politica migratoria del Regno Unito

Per entrare nel Regno Unito, infatti, il richiedente deve compilare un questionario composto da 70 punti. I primi dieci riguardano la conoscenza della lingua, altri quaranta saranno acquisiti se l’immigrato ha un contratto d’affitto ed un rapporto di lavoro, altri venti concernono il livello salariale, per non abbattere la retribuzione interna. In assenza di questi requisiti, ecco che non si entra, la porta è sbarrata.

La soluzione risulta essere condivisa sia dai conservatori, proprio perché si è rilevata straordinariamente utile nel limitare il fenomeno migratorio clandestino, ma anche dalla sinistra britannica, in un’ottica di tutela degli stipendi della popolazione, che in questo modo non saranno orientati verso il basso.

Esatto, mentre in Italia si dibatte sul salario minimo o su un’immigrazione a porte aperte, che ha portato più svantaggi che vantaggi; al di fuori dell’Ue, il mondo corre, si autoregola, raggiunge obiettivi di breve termine, lontani dalle procedure burocratiche di Bruxelles.

Non è neanche un caso che il sindaco di Londra, Sadiq Khan, abbia origini pakistane e sia al secondo mandato consecutivo da mayor di una delle città più importanti del mondo. Oppure, non è una coincidenza che, proprio nel governo di Boris Johnson, alla faccia della sinistra sbraitante al razzismo, il ministro della salute, Sajid Javid, abbia origini straniere.

La cultura dell’immigrazione regolata, limitata, selezionata ha funzionato e continuerà a funzionare, rappresentando un vantaggio sia per “noi” che per “loro”. Regolazione significa rispetto, selezione è sinonimo di competenza. Ed ecco che ci troviamo dinanzi alla rappresentazione di una politica che, dell’immigrazione regolare, ne ha fatto una battaglia portante, di civiltà e di cultura.

Nel frattempo, in Italia ed in altri Paesi europei, i cancelli dei confini rimangono sempre aperti, indiscriminatamente. Quali sono i frutti di queste decisioni? Il risultato è che la popolazione straniera rappresenta poco meno del 10 per cento di quella complessiva, mentre la relativa popolazione carceraria è pari al 31 per cento: un detenuto su tre ha origini extracomunitarie.

Esatto, i numeri dicono che stiamo ospitando una massa di carcerati. Si badi bene, non perché stranieri, ma per il semplice fatto che, una volta giunti in Italia, non hanno alcun aiuto, sostegno o fonte di guadagno. Ed ecco che il mondo dell’illegalità risulta essere alle porte.

Sviscerate queste cifre, carissima sinistra senza frontiere, quale sistema preferite? Quello inglese o quello britannico? Noi, con grande umiltà, un’idea ce la siamo già fatta. Lasciamo l’ardua sentenza al lettore.

Matteo Milanesi, 14 giugno 2022