Simon Heffer con il suo “Una breve storia del potere” (edita in Italia da Liberilibri) traccia una sintesi delle umane pulsioni che è un viaggio affascinante nella storia degli imperi, ma anche la sconfessione si direbbe definitiva di qualsiasi provvidenzialismo mistico, non fosse altro che per imporla, questa redenzione piovuta dal cielo, ci sono volute guerre infinite e pretestuose. È anche la dimostrazione che la pseudoscienza marxista col suo messianismo storicistico è un battito di ciglia, una parentesi aperta e subito chiusa ma i marxisti parolai continuano a considerarla, viceversa, il momento saliente attorno al quale ruota l’intera vicenda umana, preesistente e successiva: o dell’immanenza dell’inesistenza.
Gli ha detto male agli esegeti di Marx, disponibili sul mercato a un soldo la dozzina: l’egemonismo gramsciano, che alla fine era organizzazione puramente strumentale per fare soldi, per durare, ha continuato a dettare la sua legge spartitoria, ma senza alcun contenuto fondativo. Un restare per restare, come si è visto nel prato bassissimo delle nuove lottizzazioni in Rai, accolte malissimo dalla sinistra che considera la televisione di stato un suo feudo perenne. La scommessa della rivoluzione sorta dalla classe operaia è stata persa con ignominia e neppure le derivazioni negriane o terroristiche hanno saputo salvare la stessa classe, evirata della sua coscienza per via tecnologica. Da cui un disperato riciclarsi nelle sottoideologie alla moda da nuovo secolo, crudelmente messe in fila da Ryszard Legutko, che in Italia, per scrupolo democratico, non viene tradotto almeno nei lavori più recenti e più urticanti: il genderismo, l’allarmismo ambientale, da ultimo l’autoritarismo sanitario, fughe in avanti capaci sì di sviluppare nuova egemonia, ma destinate subito a perdersi, a risolversi in clamorose disfatte sul piano concreto non meno che su quello teorico, drammaticamente inconsistente.
Da cui la ridefinizione del vecchio “Che fare “ di Lenin in “di che parlare?”. Oggi la sinistra parla di niente, di falsi problemi da risolvere con false soluzioni maturate da false analisi. Lo fa scrivendo pessimi libri e pessimi articoli in uno stile mortifero, antiletterario di stampo ruffiano, che insegue un parlato da dimenticare, sciatto, ammiccante e in definitiva reazionario. Francesco Piccolo, uno della folta schiera dei premi Strega per meriti che artisticamente continuano a riuscirci misteriosi, ha proditoriamente invaso una paginata della fatal Repubblica per puntare il dito, in continuità con l’appena scomparsa Murgia, contro i peggiori impulsi dell’uomo bianco occidentale italiano non piddino, l’uomo bestione che ad onta di decenni di rieducazione sociale non ha ancora perso l’impulso ad essere maschio, per dire accorgersi di una donna bella, avvenente e magari fischiarle, o, ancor più inaccettabile, clacsonarle dietro. Poi dice che un bel lockdown, una manovra europea per vietare le automobili non ci vorrebbero; magari anche un vaccino per spegnere il desiderio sublimato in ammirazione. Piccolo non fischia, non tromba, nel senso del segnale acustico, non si dà pace, e chi lo legge peggio di lui. Perché Piccolo non va da nessuna parte, si avviluppa, si strangola in arabeschi di frasi senza costrutto, si titilla verbalmente, escogita la categoria dei maquandomaisti, che spasso, che inventiva letteraria, Gadda scansate proprio, i quali, se siamo riusciti a capire, ma non ci giureremmo, sarebbero i qualunquisti, i farisei, quelli che pensano una cosa ma non la ammettono per paura, per viltà; per non avere rompimenti di coglioni dalle mogli (che, a quanto è dato capire, si fanno molti meno problemi, e viva loro): e non è chiaro se a questi animali scodinzolanti, nell’accezione del Dogui, vada più il compatimento o la solidarietà del Piccolo: forse ci sono entrambi, in dosi sapientemente bilanciate. Comunque in uno stile pessimo, davvero da Premio Strega, però dopo la bottiglia (stiamo facendo ironia, a scanso di guai: questi scrittori stregati sono tutti sussiegosi, per un niente fanno partire la minaccia di querela eccetera).
Una lenzuolata che magari fosse inutile, almeno sarebbe qualcosa, anche la vanitas vanitatum soccorre, quia absurdum, a contrariis, serve a distanziarsene. Invece no. L’unica cosa che si riesce a capire, alla fine di questa scalata narrativa alla rovescia, cui si arriva mezzi morti, è che l’uomo bianco, occidentale, italiano eccetera non evolve, non migliora, gnaafà, è maquandomaista cioè un povero pezzo di reazionario, imbarazzante e troglodita, una maschera di Checco Zalone però vera.
Siamo ai quaderni da Capalbio, alla sinistra problematica alla Calenda: io non ne imbrocco una, ma voi siete dei poveri stronzi. Poveri inteso come aggettivo sostantivato. Tra le cose di Piccolo che non si capiscono, tutte, praticamente, ma scritte incredibilmente male, questo almeno è lapalissiano, anche che razza di mondo, di società veda Piccolo a bordo del suo motorino, si presume senza clacson, dunque più inclusivo. La realtà è esattamente quella opposta e basta uno stabilimento balneare a tramortirci: ragazzine di quindici, dodici anni ipersessuate, cloni accuratissimi, sofisticatissimi delle Taylor Swift, le Lana del Rey (chi paga, a proposito?), insieme a maschi a metà, che o si disinteressano desolatamente o li vedi paralizzati dalla paura di finir nei guai per un complimento, un balenar di sguardi: par di assistere a consessi surreali di aspiranti popstar con servi o celenterati di ritorno.
Una cosa vera Piccolo la coglie, probabilmente senza volere: il maschio bianco, occidentale, italiano eccetera non evolve, anzi si è appassito, si è lobotomizzato, si è tafazzizzato. Ma non è un bel progresso, non una gran consolazione. Qui uno scrittore di sinistra, aduso a non frequentare solo i circoletti gramsciani ossia pubblicitari, ne avrebbe di che inzuppare il biscotto (absit): diciamo dell’ossessione neoconsumistica, parafascista di Pasolini, del predominio spettacolare di Debord, della monodimensionalità capitalistica marcusiana e francofortese, della problematica sui bisogni e gli oggetti di Baudrillard, per fare giusto i riferimenti più immediati e più scontati; per tacer della reificazione, fino alla definitiva sepoltura della classe, perché se c’è qualcosa che sta fottendo quello che resta della sensibilità di sinistra è il mondo Barbie, viceversa esaltato per malintese o demenziali pulsioni genderistiche.
Qui non è questione dei rozzi di Rozzano o der Tufello che clacsonano alle aspiranti influencer (in perizoma, specifica il Nostro: anche lui ne deve fare di strada a ritroso lungo il moralismo neocomunista asessuato), qui è che nei locali più costosi ci stanno quasi solo adolescenti, ripassi dopo due ore e sono ancora lì, i giri di alcolici si susseguono in una roulette impazzita, mocciose e mocciosi che nei modi tradiscono già una confidenza, una dimestichezza da viveur sessantenni e a vederli uno si domanda: questo sarebbe il paese che non ce la fa a tirare il mese? D’accordo, saranno questioni da bigotto o rincoglionito, ma come la spieghi, come la spiega la sinistra romanziera e rompicoglioni una tale smania di mantenere nella riccanza figli normali, di famiglie normali? O questo è diventato un paese che si regge sul malaffare diffuso, nella zona grigia dove praticamente tutti sono sporchi ma rispettabili? Poi da lì al branco che umilia o ammazza il diverso, il condannato alla solitudine è un attimo. Nella solidarietà dei clan familiari che ormai ragionano e si comportano come i mammasantissima del potere.
Sono questioni, moralismi se si vuole, schiettamente di sinistra, che dovrebbero appassionare un intellettuale di sinistra, ma la sinistra da simili faccende sta alla larga, ha capito che non le conviene trattarle perché la sua coda di paglia è gigantesca e così preferisce corteggiare i modelli che, nella sua tradizione culturale, nella sua sensibilità politica, dovrebbero essere perversi, usciti dal neoliberismo demoniaco dei creatori digitali, di quelli che fanno i soldi col fumo pornografico di OnlyFans. Un tempo queste si chiamavano aporie, adesso suona meglio garantismo opportunista. E fu così che il nostro Piccolino, partorita per disprezzo socioculturale la razza dei maquandomaisti, si ritrovò il principe di tutti i maquandomaisti. Scrivendo malissimo.
Max Del Papa, 13 agosto 2023