Ve li ricordate? Ve li ricordate gli alfieri del green quando parlavano delle auto elettriche come del futuro dell’umanità? Profezie messe nero su bianco con l’inchiostro ma anche con le lacrime di produttori e lavoratori, rimasti fregati dai venditori di fumo. Eppure qualcuno aveva provato a mettervi in guardia. Noi siamo in prima linea fin dall’inizio, la grande bugia verde non ci ha mai ammaliato. Ma non solo. Pensiamo a un grande visionario come Sergio Marchionne. Nell’ottobre del 2017, meno di un anno prima della sua prematura scomparsa, nella sua Lectio Magistralis pronunciata in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Ingegneria Meccatronica da parte dell’università di Trento, pronunciò una profonda critica al settore delle auto elettriche.
“Le auto elettriche, un’arma a doppio taglio”
“Le auto elettriche possono sembrare una meraviglia tecnologica, soprattutto per abbattere i livelli di emissione nei centri urbani, ma si tratta di un’arma a doppio taglio” il monito dell’allora deus ex machina di Fiat: “Forzare l’introduzione dell’elettrico su scala globale senza prima risolvere il problema di come produrre l’energia da fonti pulite e rinnovabili rappresenta una minaccia all’esistenza stessa del nostro pianeta”. Dopo la sua morte, il settore automotive a livello globale purtroppo si è mosso in direzione opposta alle previsioni del manager italo-canadese, intraprendendo la strada della transizione energetica con una svolta verso l’elettrico che ha significato l’ampliamento della gamma a modelli alla spina e l’investimento di grosse somme in ricerca e sviluppo.
Le decisioni dell’Europa – ma non solo – hanno accelerato in maniera brusca un percorso complesso, troppo complesso. Una strada troppo stretta, difficile da attraversare, tale da costringere a una frenata. Emblematico il tutti contro tutti degli ultimi mesi, con produttori, Stati e Bruxelles pronti a puntare il dito l’uno contro l’altro, tra richieste di aiuti (ossia di soldi) e necessità di rivedere le regole talebane sottoscritte con una fretta irragionevole. Servirebbe un Marchionne per uscire dalla tempesta: una cosa è certa, i suoi eredi non hanno neanche la metà del suo carisma e della sua visionarietà. Basti pensare alle lobby verdi che fanno il bello e il cattivo tempo…
La diffidenza di mister Toyota
Un altro grande saggio che non si è mai piegato alle promesse e alla fuffa del mondo green è Akio Toyoda, amministratore delegato della Toyota. Lui non ha mai utilizzato troppi giri di parole per bollare l’ossessione per l’elettrico: pur condividendone il principio – la salvaguardia dell’ecosistema – non ha mai creduto alle auto alla spina. E non sono venute meno le stroncature alla politica internazionale, rea di interessarsi esclusivamente alla nuova frontiera senza fare i conti con le esigenze dei comuni mortali.
“Ci sono molti modi per scalare la montagna della neutralità di CO2. Se le regole vengono scritte in maniera ideologica, allora sono i consumatori, le persone normali a soffrire maggiormente” il mantra di mister Toyota, che ha sempre ricordato le emissioni di anidride carbonica prodotte dalla generazione di elettricità, i costi sociali della transizione energetica oppure la perdita di milioni di posti di lavoro. Del resto Toyoda non ha sposato la causa delle auto elettriche a scatola chiusa. Dopo un lungo studio e una serie di valutazioni, ha demolito l’eccessivo clamore legato alle auto alla spina, parlando apertamente di ipervalutazione. Non è un caso che sia stato tra i primi a profetizzare il collasso del sistema. Tutto ciò lo ha spinto a difendere l’idea che per decarbonizzare il settore dei trasporti andrebbero considerate anche altre alternative, come l’ibrido (la cui domanda è più alta che mai) e l’idrogeno.
Il suicidio inutile dell’Europa
Ma perché c’è tutta questa fretta? Mettendo da parte complotti e teorie alternative, c’è sicuramente un’attenzione alla questione ambientale. E già a questo punto dovremmo aprire una serie di parentesi, ma tagliamo corto. Pensiamo esclusivamente all’inutilità di certe forzature: perché l’Europa – che ha una percentuale di responsabilità ridicola – dovrebbe versare lacrime e sangue mentre i grandi inquinatori come Cina e India se ne infischiano? “Sì, viva la decarbonizzazione”. Ma qualcuno ha informato questi soloni che Pechino & Co. continua a bruciare carbone come se non ci fosse un domani?
Un dato dovrebbe fare riflettere: secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, il consumo globale di carbone è raddoppiato negli ultimi tre decenni. Per una stabilizzazione dovremo attendere almeno il 2027, ma nessuna marcia indietro. Ma torniamo alla Cina: Pechino è fortemente lontana da raggiungere gli obiettivi climatici fissati proprio a causa dell’aumento dell’uso del carbone. Basti pensare che una tonnellata su tre di carbone estratto in tutto il mondo alimenta una centrale elettrica cinese. In soldoni, Pechino ha visto la sua produzione raggiungere i livelli record di 14 milioni di tonnellate al giorno a novembre. E, riporta Il Sole 24 Ore, si prevede che continui su questi livelli per evitare qualsiasi rischio di carenza.
La sfida (già persa) con la Cina
A proposito di Cina, quando si parla di auto elettriche non si può non pensare al colosso asiatico. Il Financial Times ha segnalato che i veicoli elettrici dovrebbero superare le vendite delle auto con motori a combustione interna per la prima volta il prossimo anno, una svolta storica che testimonia come Pechino sia in netto vantaggio rispetto a tutti gli altri competitor mondiali. Sì, la Cina è destinata ad asfaltare tutte le previsioni internazionali e persino gli obiettivi ufficiali. Le stime sono impressionanti: crescita del 20 per cento in un anno.
Contestualmente, è previsto un ribasso del 10 per cento nelle vendite di auto tradizionali, che tocca il 30 per cento rispetto al 2022. La differenza sta tutta qui: questo è il ritmo della Cina, mentre in Europa e negli Stati Uniti le vendite di auto alla spina rallentano. Attenzione: non si tratta di un colpo di fortuna, ma di lungimiranza. L’Occidente ha adottato le nuove tecnologie con tempi elefantiaci, traccheggiando sui sussidi governativi. La Cina ha inoltre un vantaggio competitivo nell’integrazione di filiera, a partire dalle materie prime.
Ve l’avevamo detto
Noi abbiamo preso posizione diverso tempo fa. Abbiamo provato a segnalarvi incongruenze e criticità, follie e integralismi di varia natura. Ma non facciamo miracoli. Pensiamo alla Ripartenza del 2021, con protagonisti sul palco il ministro Giancarlo Giorgetti e ovviamente Nicola Porro. Il ministro si era scagliato contro la “pressione ideologica” che ha portato alla morte del “motore endotermico“, decisione che “causerà un disastro sotto il profilo occupazionale nel settore dell’automotive”. Proprio dal palco del Petruzzelli aveva ammonito: “Alcuni settori sono condannati a morte, è una sorta di eutanasia”. Con l’addio a benzina e diesel addio anche alle raffinerie, con i relativi posti di lavoro. Stesso discorso per i motori diesel: “Chi lavora lì sa già che quella fabbrica non produrrà più quel tipo di prodotto”.
Giorgetti aveva evidenziato a voce alta che il processo andava guidato e gestito, ma purtroppo nessuno ha aperto le orecchie. Meglio optare per le patetiche teorie care a Greta Thunberg, che oggi ha abbandonato la causa climatica per dedicare anima e cuore alla Palestina… Torniamo alla profezia di Giorgetti, che è meglio: “Tutte queste belle cose che ci raccontano sul green produrranno dei costi economici e sociali enormi. E dovranno essere gestiti. Io temo invece che la politica italiana in modo semplicistico stia andando verso un futuro che immagina tutto rose e fiori. E invece dovremo pagare un prezzo”. Sembrano parole venute dal futuro, in realtà sono passati poco più di tre anni.
I posti di lavoro a rischio
Il mercato bloccato delle elettriche ha iniziato a manifestare le prime conseguenze. A pagare non sono i ricchi manager o i potenti politici fan dell’oltranzismo green, ma i già citati comuni mortali. Andiamo in ordine sparso, tanto le notizie sono pressochè all’ordine del giorno. Nissan ha annunciato un drastico piano di riorganizzazione che porterà al taglio di 9 mila posti di lavoro e del 20 per cento della capacità produttiva globale. L’obiettivo è quello di risparmiare 2,4 miliardi di euro all’anno tra costi fissi e variabili, adattando le dimensioni alle ridotte prospettive di vendite. La Volkswagen è costretta a tagliare stabilimenti e posti di lavoro, mentre l’Audi abbassa le serrande dello stabilimento di Bruxelles dedicato proprio alle auto alla spina.
Anche l’Italia rischia di pagare le criticità affrontate dalla multinazionale tedesca. Questo l’allarme del presidente dell’Anfia, Roberto Vavassori, in occasione dell’assemblea annuale: “Se, come riportato dagli organi di stampa, Volkswagen decidesse di ridurre la propria forza lavoro di 15mila dipendenti, saranno almeno 45mila i dipendenti che perderanno il lavoro nelle aziende fornitrici, anche quelle italiane”. E ancora Ford Motor ha in programma di ridurre ulteriormente la sua forza lavoro europea di 4.000 posizioni entro la fine del 2027, in attesa delle consultazioni con i sindacati europei. I tagli di posti di lavoro pianificati avranno un impatto principalmente sulle operazioni in Germania, ma anche nel Regno Unito, con riduzioni minime negli altri mercati europei.
Come dimenticare l’indotto? Uno su tutti, il fallimento di Northvolt, la più grande azienda europea produttrice di batterie per auto elettriche. L’ossessione verde ha spinto eccessivamente l’espansione dell’azienda, che non è stata supportata da una domanda sufficiente a giustificarne i costi. Inoltre, l’esponenziale contrazione del mercato europeo delle auto elettriche e la spietata concorrenza dei giganti asiatici hanno dato la mazzata finale, senza dimenticare l’eccessiva dipendenza di Northvolt dai finanziamenti pubblici. Ma lo stesso discorso può essere tranquillamente copiato e incollato per tutti gli altri ambiti collegati alla produzione di autovetture: se non si vendono le elettriche, non c’è neanche più bisogno di accessori.
Che ne sarà di noi?
C’è chi è in campo per tentare di invertire il trend. Il Ppe ha presentato un piano per rivedere le regole del Green deal. Il fronte, guidato dal governo italiano, si sta allargando fortunatamente, ma ancora non basta, considerando che i Verdi e la commissaria talebana Ribera sono pronti a erigere le barricate. Intervistato recentemente dal Corriere della Sera, Stéphane Séjourné, vicepresidente esecutivo della Commissione europea con delega alla Prosperità e alla Strategia industriale, ha proposto di anticipare il lavoro di revisione delle regole sul bando del motore a scoppio dal 2035: “Sono pronto a iniziare a lavorare sulla clausola di revisione nel 2025 in modo da essere pronti nel 2026, perché se iniziamo nel 2026, saremo pronti nel 2027”. Per quanto concerne il tema delle multe alle case automobilistiche costrette a vendere una quota di elettriche (che non riusciranno mai a raggiungere) per rientrare nelle quote di emissione di C02, Séjourné non si è sbilanciato: “I target fissati non sono in discussione. Ma la questione delle multe deve essere risolta in modo pragmatico per non penalizzare i produttori ai quali viene chiesto di fare molto”. Ma già iniziare a parlare è un buon segnale. L’elettrico ci ha rovinati abbastanza. è il momento di farla finita con l’ideologia pelosa.
Franco Lodige, 1 gennaio 2025
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis)