“Da quando siamo arrivati in Italia, oltre ad impormi il velo integrale, quando usciva mio marito mi chiudeva in casa portando con sé le chiavi. Potevo uscire solo se mi sentivo male, per andare in ospedale. Solo in un’occasione mi ha aggredito fisicamente, colpendomi al volto con uno schiaffo. Fu poche ore dopo aver partorito mia figlia, appena rientrata dall’ospedale: pretese alle 4,30 del mattino che gli preparassi la colazione; non lo feci e lui mi diede uno schiaffone, in seguito al quale io svenni”.
Tenete bene a mente queste parole, contenute nella denuncia presentata da una donna marocchina, residente in Italia prima in Umbria e poi corsa in una casa-famiglia a Napoli per sfuggire a suo marito. Tenetele a mente e mettetevi comodi, perché ora c’è da leggere parte dell’ordinanza con un pm di Perugia ha chiesto l’archiviazione per il trentanovenne accusato di maltrattamenti. Nel tempo del #meetoo e delle indignazioni per questioni inutili, tipo il dover invitare donne in trasmissione (leggi Rula Jebreal), nessuno s’indigna se il magistrato ritiene che imporre il burqa islamico a una donna “rientra nel quadro culturale” del marito. Dunque tutto normale.
La vicenda inizia qualche tempo fa, quando la donna si rivolge al commissariato di Napoli per denunciare i maltrattamenti del marito. Il racconto è dettagliato: velo integrale obbligatorio, divieto di uscire, porta chiusa a chiave, botte. Insomma: c’è tutto per far giustamente gridare allo scandalo della violenza dell’uomo sulla donna. Per il magistrato però “il rapporto di coppia è stato influenzato da forti influenze religiose-culturali alla quale la donna non sembra avere la forza o la volontà di ribellarsi”. Inoltre “le evidenze emerse a seguito delle attività d’indagine non consentono di ritenere configurabile o sostenibile in termini probatori il reato rubricato. Dalle dichiarazioni rese, la donna non sarebbe mai stata minacciata di morte, né avrebbe subìto aggressioni fisiche tali da costringerla alle cure sanitarie”. Va bene. E l’obbligo di mettere il burqa? E il fatto che la chiudesse in casa con doppia mandata? E l’aver sequestrato i documenti suoi e dei figli? “La condotta di costringerla a tenere il velo integrale – si legge nell’ordinanza – rientra, pur non condivisibile in ottica occidentale, nel quadro culturale dei soggetti interessati”. Insomma: che vuoi che sia? È la loro cultura.
L’avvocato difensore, Gennaro De Falco, spera che il Gip non accolga la richiesta del pm. E che si rifiuti di considerare “normale”, in Italia, che un uomo costringa una donna a coprirsi col burqa da capo a piedi solo perché questo rientra nella “cultura” d’origine. E se rivendicassero la poligamia, accetteremmo pure questa? Oppure la legge del taglione? E perché allora non considerare questione culturale l’infibulazione? “Le donne straniere devono avere gli stessi diritti e le stesse tutele di cui godono quelle italiane – dice giustamente il legale – al di là delle convinzioni religiose dei loro mariti”.