Giuseppe Conte e Roberto Speranza interrogati a Brescia. L’ex premier e l’ex ministro della Salute dell’era Covid sono stati convocati dal tribunale dei ministri insediato nella città lombarda per rispondere delle scelte fatte durante la prima ondata. I fatti sono noti, e ormai se ne parla da quando la procura di Bergamo avviò questa mastodontica inchiesta che chissà dove porterà. Il leader del M5S e Speranza sono accusati di epidemia colposa e omicidio colposo plurimo: Conte per non aver disposto la zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo; l’ex ministro per la mancata attuazione del piano pandemico.
La maxi inchiesta, durata anni e che si è avvalsa pure della consulenza del professor Crisanti, procede lungo due direttive. A Bergamo restano incardinate le posizioni di tutti gli altri indagati, tra cui gran parte dei vertici del ministero della Salute e di Regione Lombardia; a Brescia invece sono finite le posizioni dei ministri che, secondo la Carta, devono essere giudicati da un Tribunale speciale. Oggi in un palazzo di giustizia blindato, e con alcuni manifestanti che chiedevano la galera per Conte e Speranza, i due esponenti politici sono stati interrogati. Poco prima delle 14 sono entrati da un ingresso secondario a bordo di un’auto con i vetri oscurati. Al termine dell’udienza, bocche cucite per i diretti interessati. Per loro, però, hanno parlato gli avvocati.
La posizione di Conte
“Ha risposto a tutte le domande, ha chiarito, ha ricostruito tutto quello che è accaduto a partire dal 26 febbraio al 6 marzo, e stato esauriente”, ha detto l’avvocato Caterina Malavenda, legale di Conte, come riporta il Messaggero. Una parte dell’interrogatorio ha ruotato attorno alla “nota informale del 2 marzo del Cts” con cui l’Iss aveva prospettato al presidente la chiusura della Val Seriana, decisione che l’ex premier avrebbe rimandato per evitare costi economici e sociali eccessivi. Conte ha sempre sostenuto di essere stato informato sulla possibile zona rossa solo il 5 marzo 2020 (non il 2), di aver chiesto approfondimenti e di non aver mai avuto tra le mani la bozza (firmata da Speranza) per chiudere la Val Seriana. Quella nota informale del 2 marzo, spiegano i suoi avvocati, “l’ha commentata e ha spiegato qual era la sua posizione”. Niente più. “Noi ci fidiamo dei giudici e confidiamo che tutto finisca presto e bene”.
Le dichiarazioni di Speranza
Posizione simile anche per Speranza. L’avvocato Guido Calvi ha spiegato che il suo assistito ha “illustrato le ragioni della sua condotta, rispettosa delle norme, ha ribadito l’estraneità di ogni addebito”. I giudici hanno chiesto all’ex ministro per quale motivo non applicò sin da subito il piano pandemico contro l’influenza. E lui ha risposto che “tutta la comunità scientifica lo riteneva totalmente inefficace per combattere il Covid”. “Però – ha proseguito il legale – si sono presi tutti i provvedimenti a cominciare dal blocco dei voli dalla Cina, non dimenticando che l’Italia è stata la prima” ad adottare misure drastiche. Le accuse della procura di Bergamo ruotano attorno ad un alert dell’Oms del 5 gennaio che, secondo chi indaga, avrebbe dovuto far scattare l’immediata applicazione del piano pandemico. Guido Calvi ha però replicato che l'”Oms solo il 30 di gennaio fa scattare la necessità di passare da una fase a un’altra più avanzata, quella del 5 gennaio era una raccomandazione”. Non vincolante. Secondo la difesa di Speranza, insomma, Andrea Crisanti avrebbe commesso “un errore grave” che “ha indotto la magistratura in errore”.
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