Anche in Paradiso si discorre di Covid. L’occasione è l’arrivo del ligure Eugenio Minasso, uomo buono e laborioso, ex deputato di An, che ha contribuito al rilancio della Banca del Fucino. Intubato per mesi, il virus ha avuto la meglio anche su di lui. Giunto nel Regno dei Cieli, riporta l’atmosfera che si vive in Italia: “Una protesta che si allarga, da destra a sinistra, famiglie che si dividono e poi l’incertezza sulle conseguenze dei vaccini sui bimbi diventati una lotteria, due dosi in 20 giorni”.
“Caro Eugenio, so cosa hai provato” – gli va incontro Francesco Cossiga – “anch’io ho sofferto di problemi respiratori e sono stato ricoverato al Gemelli nel reparto diretto dal Prof. Antonelli”.
Seduto sul suo triciclo, Amintore Fanfani sentenzia: “Tutte bischerate! Andava fatto il vaccino obbligatorio per tutti! E subito somministrato a medici, infermieri, forze dell’ordine, magistrati e operatori scolastici. Altro che dibattiti…”
Andreotti, sempre con le orecchie drizzate quando parla l’aretino, lascia per un attimo le bozze del suo ultimo libro L’Aldilà visto da vicino per ribattere: “Occorreva muoversi compatti in tutta Europa. Varare una “Maastricht della sanità”, dopo aver messo attorno ad un tavolo gli otto luminari più competenti al mondo e facendo parlare solo uno dì loro. Dovevano spiegarci con chiarezza che con il vaccino si riducono di gran lunga le possibilità di finire in rianimazione e, soprattutto, di morire. Non questo Carnevale che finisce solo per confondere e addirittura dividere le famiglie, per di più ora a ridosso del Natale. Le pandemie sono una tragedia e vanno affrontate globalmente; lo so bene io che a due anni ho perso il babbo durante la ‘Spagnola’”.
Aldo Moro, seduto su una panchina sorseggiando un’extra cognac di Frapin con alcuni studenti e il fedele assistente Francesco Tritto, colui che ricevette la notizia della morte dello statista dalle BR, con un filo di voce aggiunge: “Prima di tutto, in Europa serviva una cornice giuridica ben chiara, patologi più che virologi, faro sulle industrie farmaceutiche, in attesa che i Servizi dì Sicurezza occidentali, per una volta uniti, ci spiegassero meglio quel mondo ancora oscuro sull’inizio dell’epidemia. Soprattutto per capire, più che per colpire”.
“Hai ragione, Aldo”, interviene Giovanni Leone. “Quando ho affrontato il colera, a Napoli, ho fatto vaccinare un milione di persone; li ho convinti facendo leva sul loro senso civico e non con il terrore…”.
Interviene Craxi, appena giunto in Paradiso, gesticolando elegantemente con le mani: “Senso civico, non polizia e idranti su una questione così delicata. E poi collegialità, italiana e internazionale”.
Cossiga, il Picconatore, interrompendo l’esperienza sensoriale del metaverso preparata da Luca Josi di Tim, che ha entusiasmato perfino l’algido Zuckerberg, entra a gamba tesa nella conversazione: “Se fossi stato al Quirinale, premesso che non gli avrei mai dato l’incarico di premier, giammai avrei tollerato che un ‘Giuseppi’ qualsiasi personalizzasse in quel modo l’informazione con conferenze stampa surreali. Avrei mandato i Carabinieri a spegnere il segnale della tv di Stato”.
“L’improvvisato Conte, mio corregionale, è uomo di mediocre provincialismo”, bisbiglia Moro.
Cossiga, invece, puntualizza: “Per la verità anche con Draghi, che pensa solo al Quirinale, non è che l’andazzo sia migliore, manca collegialità in questo Governo. E quel Giavazzi, seppur lontano da Casalino, di danni forse ne sta facendo ancor di più, dalla Rai a Leonardo, fino alle telecomunicazioni, con quel bizzarro Colao al suo seguito…”.
Ribatte così Andreotti: “Da Chigi, nella consueta cartellina di pelle blu, mi sono arrivate le dieci pagine di norme sul green pass per alberghi, ristoranti e impianti di sci, anzi, sul super green pass. Una mostruosità. Mi ricorda quando i ragazzi andavano a sciare a Cortina con il super Skypass. Io, ovviamente, mi limitavo a finanziare solo l’abbonamento base”.
La discussione fa alzare i toni dei convitati e così, come sempre, interviene San Pietro, che dopo aver richiamato tutti all’ordine e averli messi in fila a preparare il presepe tra canti e preghiere, si rivolge loro: “Voi italiani lo dovete allestire con fantasia, anche per onorare il carissimo fratello San Francesco d’Assisi, inventore, nel 1223, del primo presepe vivente”.
Andreotti, religiosamente allineato, aggiunge una nota di natura semantica: “La parola ‘presepe’ deriva dal latino praesaepe che significa ‘mangiatoia’. Ne troviamo testimonianza nei Vangeli di Luca e Matteo.”
E così, ecco in prima fila in ordine di altezza Amintore Fanfani, che posiziona una statuina molto amata in Toscana, di nome Festoso; subito dopo Giovanni Leone, con l’elegante vestito dell’antica sartoria Zenobi, che sistema una statuina di Benino, il pastorello tipico del presepe napoletano; Giulio Andreotti, con una certa timida ritrosia, appoggia una riproduzione di 28 centimetri che lo rappresenta donatagli dall’artista Genny Di Virgilio per il famoso presepe di San Gregorio Armeno; infine, Francesco Cossiga mette vicino a Benino un pastore di porcellana scozzese acquistato ad Edimburgo nella Cattedrale di St. Andrew.
Poi, tutti insieme a cantare Tu scendi dalle stelle e a sistemare la stella cometa che ha guidato i Re Magi. Stella Cometa che servirebbe anche a Draghi, per rimetterlo sul giusto cammino del Pnrr e non del Quirinale per evitare così che si trasformi in un buco nero.
Luigi Bisignani, Il Tempo 12 dicembre 2021