Errare è umano, ma perseverare con l’obbligo delle mascherine non è solo diabolico, rappresenta un vero e proprio crimine contro la costituzione democratica e l’intelligenza umana. Non bastavano i gravi problemi internazionali, la crisi economica e l’inevitabile rialzo dei tassi d’interesse a funestare la già complicata esistenza degli italiani. A rovinarci del tutto l’estate ci si mettono pure i talebani delle restrizioni sanitarie, invocando l’immediato ritorno del cosiddetto strumento di protezione individuale in tutti i luoghi chiusi. Lo ha fatto con toni perentori Alessio D’Amato, assessore alla Sanità del Lazio soprannominato “mister vaccino”, il quale viene spacciato come tecnico sebbene abbia militato a lungo nella sinistra radicale. Tanto che fu per alcuni anni a capo della federazione romana del Pdci.
Il ritorno dei talebani del virus
Ebbene, D’Amato ha ufficialmente annunciato che presenterà alla Conferenza Stato-Regioni la proposta di ripristinare ovunque l’obbligo delle mascherine al chiuso. Secondo questo ennesimo genio del terrore virale, ciò sarebbe ampiamente giustificato dall’aumento dei contagi che sta interessando il Lazio e non solo. Un aumento dei contagi il quale, tuttavia, non sta producendo alcuna pressione sugli ospedali, così come tutti gli organi di stampa che hanno ripreso la notizia hanno messo in evidenza. Ma come purtroppo accade sin dall’inizio di questa tragedia democratica, gli stessi giornali evitano accuratamente di cogliere una contraddizione sempre più evidente, ossia la circolazione di una presunta malattia senza malattia.
Emblematico in tal senso un lungo articolo del Messaggero, firmato da Camilla Mozzetti, in merito all’indecente proposta di D’Amato. Mentre si riconosce “che le occupazioni ospedaliere, sia nei reparti ordinari che in quelli delle terapie intensive, siano diverse da quelle del passato inverno e pure del giugno 2021”, più avanti, sostenendo a spada tratta l’ideona dell’assessore sinistro, il quale giustifica il ritorno del bavaglio con l’esigenza di salvaguardare il turismo nella stagione estiva, la giornalista rileva, bontà sua, che il virus continua a non darci tregua.
Stessa solfa in un altro giornale on-line della Capitale, Il Corriere della Città, che così avvalora la presa di posizione di D’Amato: “Così tanti contagi in un solo giorno non se ne contavano da marzo. Eppure, martedì scorso la Regione Lazio ha dovuto fare i conti con un bollettino ‘nero’ e con oltre 11.000 nuovi casi, a dimostrazione che la pandemia, nonostante le restrizioni da settimane siano sempre meno, esiste ancora, non è stata sconfitta”. E questi sono solo due esempi significativi di una informazione che, più compatta di una falange greca, continua a propalare una consequenzialità virale del tutto campata per aria, fiancheggiando di fatto l’azione dei talebani sanitari alla D’Amato.
In sostanza, la causalità farlocca è sempre quella che nella nostra riserva piccola riserva liberale denunciamo da oltre due anni: contagio sinonimo di malattia la quale, basandosi sull’illusione di estirpare un virus oramai endemico, si può tenere sotto controllo solo utilizzando in modo massivo vaccini, distanziamento, lavaggio delle mani e, su tutto, le mascherine dai poteri magici. Poteri che, come ampiamente dimostrato dal lungo elenco di studi scientifici pubblicato su queste pagine da Paolo Becchi e Nicola Trevisan, non sembrano avere molto a che fare con la realtà fattuale.
Fine emergenza mai
E, dulcis in fundo, sempre in merito alle mascherine della discordia, segnaliamo che esse rappresentano il perno di una bozza del “nuovo” protocollo anti-Covid per i lavoratori privati che i ministeri della Salute e del Lavoro stanno per presentare alle parti sociali. “L’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo facciali filtranti FFP2 – si legge nel testo – rimane un presidio importante per la tutela della salute dei lavoratori ai fini della prevenzione del contagio, soprattutto nei contesti di lavoro in ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori o aperti al pubblico o dove comunque non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative.”
Quindi, malgrado non esista uno straccio di prova scientifica che possa giustificare l’obbligo di massa delle mascherine, queste ultime oramai, da incerti dispositivi di protezione individuale , si sono trasformate in un alienante simbolo comunitario di appartenenza, venendo di fatto utilizzate dallo stesso regime sanitario come mero strumento di controllo politico e sociale, che con la tutela della salute pubblica c’entra come i cavoli a merenda.
Personalmente credo che, in tal senso, la misura sia colma da tempo. Di fronte all’adozione di ulteriori restrizioni, la possibilità di esprimere forme incruente di disobbedienza civile non sia più una semplice opzione. Il che, nel caso in oggetto, non significa altro che rifiutarsi di indossare la mascherina qualora se ne ripristinasse l’obbligo, costi quel che costi.
Claudio Romiti, 30 giugno 2022