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Covid, ecco il modello Svizzera - Seconda parte

A Losanna, incontriamo all’uscita di scuola alcuni studenti delle superiori. L’unico obbligo, per loro, è indossare la mascherina in classe e negli spazi comuni, non per le attività sportive. Nessuno è vaccinato, anche se fuori dalla porta della scuola campeggia un adesivo che invita a immunizzarsi durante le “Journées de vaccination” a settembre. Anche qui, le “regole d’oro” sono riassunte in una grafica: 1. mascherina dai 12 anni se richiesta; 2. ventilare più volte i locali; 3. lavare con cura le mani; evitare la stretta di mano; 4. tossire nel gomito o nel fazzoletto; 5. non condividere cibo e bevande; 6. restare a casa se si avvertono sintomi. Tra le misure richieste dai professori, l’installazione di dispositivi di misurazione dell’anidride carbonica nelle aule per valutare la qualità dell’aria. L’eccesso di Co2 respirata, specie in ambienti affollati, è uno degli effetti avversi provocato dall’uso prolungato delle mascherine. Effetti nocivi stigmatizzati in molti Paesi, che hanno preso provvedimenti, ma non ancora dal nostro Cts.

Per capire se davvero funziona la riapertura delle scuole in Svizzera, abbiamo visitato “Le Rosey”. Antico e blasonato college internazionale, immerso nel verde e situato nel piccolo borgo di Rolle, sulle sponde del Lago di Ginevra. Nelle due sedi dell’istituto, ogni giorno sono ospitati oltre 500 tra professori, allievi (dagli 8 ai 18 anni) e personale vario, tra cui 4 sanitari. Anche qui vigono poche regole ma ferree: tutti gli alunni over 12 e i loro genitori sono sottoposti al test rapido, al momento del primo ingresso al campus, eseguito in locali attrezzati all’esterno della struttura. Così da bloccare ogni contagio, prima dello scoccare della campanella. “Questo metodo ci ha permesso di scoprire, l’anno scorso, due genitori positivi e una ragazza, iscritta al campus estivo, che è stata rimborsata. Ma abbiamo stroncato sul nascere ogni situazione di rischio” spiega il direttore delle ammissioni, Jacques Bounin. I docenti sono vaccinati o regolarmente testati, come chiunque provenga dall’esterno per qualsiasi motivo: “L’anno scorso, nel picco del Covid, abbiamo avuto solo due positivi tra i docenti. Nessun nostro alunno si è mai contagiato, anche se entrano ed escono regolarmente il fine settimana”.

Come si esce dalla Svizzera (francese)

Prima della ripartenza in treno da Ginevra, diretti a Milano, siamo andati in farmacia per sottoporci al tampone rapido obbligatorio, entro le 48 ore, che qui avviene su una sola narice. Ogni farmacia lo esegue gratis e anche fuori prenotazione, in caso di partenza ravvicinata. Non serve essere residenti, purché si possieda un codice fiscale e documento. Il servizio è rapido e molto apprezzato, ma potrebbe cessare a ottobre. Quando i test non saranno più gratuiti nemmeno per i residenti. La farmacista ci chede se accettiamo di ricevere un kit omaggio di autodiagnosi per il Covid, che presto potrebbe essere autorizzato ad uso privato in caso di sintomi. Rimaniamo stupiti dalla cortesia generale, quando da noi si ricorre alla carta bollata anche solo per farsi stampare un certificato, dopo aver pagato 15 o 21 euro di test, rigorosamente su prenotazione.

Nel confronto con l’Italia, oggi la Confederazione ci batte in quanto a civiltà, accoglienza e premura nell’incentivare le condotte sanitarie più efficaci, che non è detto siano sempre le più costose. Dal 13 settembre, con l’introduzione del greenpass esteso a molte attività pubbliche e private, tutto potrebbe cambiare. Con l’augurio ai cugini svizzeri di non fare la nostra fine…

Beatrice Necha, 12 settembre 2021

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