Ormai stiamo raschiando il fondo del barile pandemico. Ieri, a Casto, nel Bresciano, è successo l’incredibile. Sapete tutti che in quella provincia è emergenza variante inglese. Sono state adottate rigide misure di contenimento – e non vogliamo certo affermare che bisogni infischiarsene dell’epidemia, piuttosto che intervenire tempestivamente per limitare i danni. Ma certe manifestazioni, più che un mezzo di profilassi, sono l’anticamera della dissoluzione psicosociale.
Ebbene: in una scuola media del paesino, che doveva essere chiusa perché l’area è in zona arancione rafforzata, si sono addirittura precipitati i carabinieri. Sapete qual era il gravissimo illecito in atto? Nell’edificio c’era una quindicina di studenti, inclusi alcuni disabili. Evidentemente, ragazzi che le loro famiglie, fatte da genitori che non stanno a girarsi i pollici tutto il giorno, ma sono costretti a lavorare, non saprebbero come accudire. E allora, che si fa? L’unica cosa possibile per chi non ha il triplo stipendio da devolvere a baby sitter e assistenti domestiche, come l’alta borghesia delle metropoli: li si manda a scuola. Che nel caso dei giovani affetti da disabilità, non è solo un luogo di apprendimento, ma letteralmente di cura e assistenza.
E invece l’Italia, ormai, è la patria della didattica a distanza. È l’unico Paese d’Europa in cui, da un anno, i nostri figli trascorrono più tempo a casa che in classe. Così è stato anche oggi: i carabinieri hanno prelevato dieci di loro e li hanno rispediti dai genitori. Segnalati addirittura al tribunale dei minori, per omessa sorveglianza. Cos’altro ci aspetta? Le teste di cuoio in università?
Nicola Porro, 3 marzo 2021