Vaccini, libertà ed emergenza perenne. Ecco la mia intervista rilasciata alla Verità.
«Speravo di essermi messo alle spalle la liturgia del terrore che da quasi due anni siamo costretti a sopportare sul Covid. E invece no, mi sbagliavo: quella fase non è ancora finita». Nicola Porro, questa sera parte la nuova stagione di Quarta Repubblica, su Rete 4.
Il tema principale della scaletta è quasi obbligato?
«Questo purtroppo è il Covid: una malattia, certo, ma anche un rito del terrore che si ripete da tempo, sempre uguale a sé stesso. Ad alimentarlo, i sacerdoti di cui non riusciamo a liberarci».
Chi sono questi «sacerdoti del terrore»?
«Sono quelli che, grazie all’emergenza, vogliono comprimere i diritti di libertà e democrazia. Ci troviamo di fronte a una situazione surreale, basta vedere le immagini di Roberto Burioni a Venezia».
C’era anche lui sul red carpet della Mostra del Cinema, insieme con attori e registi.
«Si è presentato con il suo smoking per dirci che vuole “testimoniare l’importanza del vaccino”. Non ho nulla in contrario rispetto alla sua presenza, ma la giustificazione moralistica mi sembra incredibile. Bisognerebbe fare una grandissima, enorme operazione di normalizzazione contro tutta questa ipocrisia».
Nel frattempo, il governo tira dritto sui vaccini, l’obbligo è ormai dietro l’angolo.
«Se al governo cercavano un modo per rafforzare i dubbi dei pochi italiani non ancora convinti, soprattutto per le modalità con cui sono stati raccontati i vaccini, allora ci sono riusciti in pieno. L’obbligo, e lo dico da vaccinato, non è solo sbagliato, ma anche stupido».
Per quale motivo?
«La politica ha reso antipatico il vaccino anti-Covid. Per convincere i dubbiosi, ci sono due strade: l’obbligo, che è la scelta illiberale, e il convincimento, cioè la soluzione più sana secondo me».
Che tuttavia non sembra aver dato i suoi frutti, se rischiamo di essere l’unico Paese europeo a imporre il vaccino per tutta la popolazione.
«Gli italiani, più o meno convintamente, si stanno vaccinando alla grandissima. Non credo alla favola che gli italiani non si vaccinano, è una stronzata. L’obbligo è una decisione stupidissima, che non fa altro che alimentare una sorta di antipatia nei confronti del vaccino. Rientra perfettamente nella strategia di chi porta avanti la liturgia del terrore: si deve sempre trovare un nemico».
Oggi sono i non vaccinati il nuovo capro espiatorio?
«Esattamente come lo erano i runner, i giovani, o chi manifestava contro il lockdown. C’è sempre bisogno di un terrorista».
Urlare alle nuove «brigate No vax» contribuisce ad alimentare un terrore ingiustificato?
«In questo Paese, come ci insegna Carlo Maria Cipolla, la percentuale di cretini è costante ed è indifferente all’età, alla professione e al censo delle persone, che siano esse no Expo, no Tav, no Tap o no vax. Eppure, per la prima volta, c’è un atteggiamento diverso nei confronti di una minoranza: si invocano le cannonate contro chi esprime posizioni contrarie alla vaccinazione, senza che la politica prenda le dovute distanze».
Che cosa pensi di quest’ansia di punizione nei loro confronti? Qualcuno, come l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, vorrebbe far pagare loro le cure in caso di ricovero.
«Trovo assurdo che sia proprio la sinistra a proporre una sorta di privatizzazione del sistema sanitario».
Fare domande è ancora un «diritto», come sostiene Massimo Cacciari, o è diventato tabù?
«Oggi chi si fa delle domande sull’obbligo vaccinale, sull’efficacia dei vaccini, sulla strategia del lockdown, sul green pass, viene additato come un pericoloso no vax. Massimo Cacciari è stato coraggioso e straordinario nella sua critica».
Mettere tutto in un unico calderone no vax neutralizza anche le obiezioni razionali?
«Credo ci sia una grandissima responsabilità degli intellettuali e della stampa di centrodestra, che hanno fatto esattamente quello di cui sono stati vittime per anni da parte della sinistra, che ha urlato all’allarme fascista mettendo insieme tutti, senza fare distinzioni. Oggi, intellettuali di centrodestra, giornalisti, conduttori liberali hanno fatto lo stesso errore, dando del no vax a tutti, esattamente come loro erano considerati fascisti solo perché berlusconiani. Penso sia una sciatteria pericolosa perché non viene più solo dal mondo di sinistra, che ha quel modus operandi, ma anche dagli intellettuali di centrodestra».
L’ipotesi dell’obbligo vaccinale è una mina sul percorso del governo?
«Sono curioso e scettico allo stesso tempo: al di là di chi si oppone a questo governo, ci sarà una fronda liberale capace di dire di no?».
Matteo Salvini ha già manifestato la sua contrarietà e l’idea non piace neanche a Giuseppe Conte.
«La posizione di Matteo Salvini è minoritaria. E poi, l’ex ministro è diventato radioattivo: qualsiasi cosa dica, non va bene. Il giornale unico del virus è ormai la voce dell’antisalvinismo. Anche quando Salvini dice una cosa ragionevole, come quella di discutere sull’obbligo vaccinale, la sua posizione diventa immediatamente radioattiva».
Nonostante la Lega abbia votato per sopprimere il green pass in Commissione affari sociali della Camera, l’estensione degli ambiti in cui sarà necessario mostrare il certificato verde è ormai una certezza.
«Anche qui, il punto fondamentale è la ragionevolezza: è giusto pensare che in alcuni luoghi ci siano dei controlli, ma, per come è stata pensata, programmata e per come sarà estesa, la misura è semplicemente demenziale. Ed era intuibile dal primo momento».
Che cosa intendi?
«Non è possibile, per esempio, imporre l’obbligo del green pass per i consumatori e poi farlo sparire quando in gioco ci sono i lavoratori. In alcuni campi i diritti vengono rispettati più che in altri e qui si genera il cortocircuito: il lavoratore, per la sinistra e per il sindacalismo italiano, non è controllabile; il consumatore, che è quello che spende, invece sì. Il green pass rende l’Italia un Paese tribale: alla tribù dei consumatori puoi fare quello che vuoi; a quella dei lavoratori, visti i decenni di protezione accordati grazie alle leggi sul lavoro, non puoi fare nulla».
Credi si riproporrà quanto accaduto nei primi mesi dell’emergenza pandemica, con tanti autonomi che criticavano il governo per averli «abbandonati»?
«La divisione tribale c’è stata con il lockdown, durante il quale alcuni gruppi hanno sofferto più di altri, c’è con il green pass e ci sarà con i vaccini, per chi avrà una, due o tre dosi».
A proposito, si inizia con i fragili da settembre, per poi arrivare probabilmente a tutti gli altri, nonostante l’Agenzia europea del farmaco consideri la terza somministrazione universale «non urgente».
«In caso di approvazione, la somministrazione della terza dose smentirebbe il racconto che ci hanno fatto finora sull’efficacia salvifica del vaccino».
Saresti contrario?
«Io non sono né favorevole né contrario. Se approvi una terza dose, significa che due non bastano. E chissà, un giorno approveranno la quarta e poi la quinta: diventerà un vaccino influenzale, che è la fine probabile che faremo».
Nel corso della conferenza stampa sulla ripresa, Mario Draghi ha blindato il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Te l’aspettavi?
«Draghi ha fatto benissimo a difendere la Lamorgese. Un presidente del Consiglio difende i suoi ministri; se non lo fa, significa che vuole farli fuori».
Qualcuno, nella maggioranza, ci avrebbe fatto più di un pensiero dopo il pasticcio del rave illegale in provincia di Viterbo e l’emergenza sbarchi che non sembra avere fine.
«Durante il mandato di un ministro si possono commettere degli errori. Quel che conta è riuscire a trovare delle soluzioni. La Lamorgese è imbrigliata nel caos immigrazione perché continua a sperare in una soluzione europea che non c’è e che non potrà mai esserci. Da ottima funzionaria di Stato, ha pensato che la soluzione all’immigrazione incontrollata potesse prendere una dimensione europea, ma non possiamo più permetterci di aspettare “Godot Europa”».
Giorgia Meloni lavora a una mozione di sfiducia nei confronti del ministro: una mossa per mettere in difficoltà gli alleati del centrodestra, come sostiene qualcuno?
«Credo che le mozioni nei confronti dei singoli ministri siano mere operazioni di marketing politico, nulla di più».
L’ipotesi spaccatura nella coalizione, insomma, non è sul tavolo?
«Tutti i sondaggi, la scomparsa di un interlocutore come il Movimento 5 stelle e la debolezza del Pd e del suo segretario, Enrico Letta, sono indizi chiari: è molto difficile che il centrodestra non vinca le elezioni nel giro di due anni. Sarebbe un crimine pensare di dividersi: una eventuale scissione segnerebbe la morte del centrodestra per i prossimi decenni».
Antonio Di Francesco, La Verità, 6 settembre 2021