Sono quasi cinquanta le città cinesi sottoposte ai rigidissimi lockdown di questi ultimi giorni, causa la continua crescita dei positivi da Covid-19. Nella giornata di ieri, anche la capitale Pechino ha riconosciuto lo spettro delle restrizioni, dopo casi di decesso che non si verificavano ormai da 6 mesi. L’area delle limitazioni riguarderebbe più di 7 milioni di cittadini, segregati in casa con obblighi di tampone quasi quotidiani, nei due grossi quartieri centrali di Haidian e Chaoyang.
Ma la vera notizia del giorno sono ancora le proteste che intercorrono tra gli abitanti sottoposti al confinamento e gli operatori sanitari. Questa volta è il caso dell’azienda iPhone City, la mega-fabbrica degli smartphone Apple a Zhengzhou, città con una popolazione di 200 mila lavoratori. La notte scorsa, infatti, le forze dell’ordine in tenuta antisommossa e i vigilanti sanitari hanno sedato la rivolta dei dipendenti, rinchiusi da settimane all’interno degli stabili, causa la presenza di un focolaio da Covid-19. I lavoratori non possono avere alcun contatto col mondo esterno, vivendo nei fatti all’interno di centri dove le condizioni igienico-sanitarie si fanno sempre più precarie.
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Dai video che circolano sul web, i dipendenti avrebbero scavalcato i cancelli dell’azienda cercando di scappare. Inevitabili gli scontri con le forze di polizia. Da una parte, si notano i sanitari che bloccano i disperati con calci e pugni; dall’altra, i poliziotti che cercano di bloccare la rivolta attraverso i manganelli. Scene già viste anche nella sviluppata Guangzhou, dove nel corso di questi giorni abbiamo raccontato le folli misure pandemiche, adottate dal governo di Pechino, nonché gli atti da Stato orwelliano contro una ragazza che non aveva la mascherina, legata con le mani dietro la schiena e buttata a terra.
Ieri, si sono registrati più di 23mila casi di Covid in Cina. Sembra essere l’inizio di una nuova ondata, che sarà affrontata con il metodo che ha contraddistinto il regime comunista di Xi: il “modello cinese”. In nome del virus, a tre anni di distanza, continuano ad essere ristrette le libertà basilari dei cittadini cinesi, in nome di un sistema che si è trasformato da misura di prevenzione a nuova forma di consolidamento del potere dei vertici di Pechino. Nel frattempo, però, l’economia prosegue a rallentare. Molti analisti internazionali parlano di stagflazione cinese, e la causa non può che essere vista in queste scene di ordinaria illiberalità.