Da quando Massimo Galli si è “moderato”, il trono del virologo-gufo è conteso. Ha provato a insidiare il primato dello scienziato del Sacco l’igienista Fabrizio Pregliasco, che però si sforza d’infilare sempre una nota di ottimismo financo nelle sue più fosche previsioni. Non s’è impegnato abbastanza, per rubare lo scettro a Galli.
Decisamente più aggressiva è l’offensiva di Andrea Crisanti, vero uccello dal malaugurio, il quale, a differenza del professore milanese, non si è mai pentito di aver contestato il decreto sulle riaperture dello scorso 26 aprile. Adesso Crisanti torna con un’intervista sulla Stampa dai toni più che foschi: “Non siamo sulla buona strada per l’uscita dalla pandemia”, dice. Anzi: “Stiamo creando il terreno per una nuova variante del tutto resistente ai vaccini”. È ormai acclarato che la retorica sul sacro siero, infatti, si può mettere da parte, se c’è bisogno di terrorizzare la gente e preparare la strada a future restrizioni. Così, Crisanti cita (a metà) una recente rilevazione israeliana, secondo cui, contro l’infezione da variante Delta, i vaccini Pfizer sono efficaci al 64% (contro il 95% riferito al ceppo originario del virus).
Già: peccato che Crisanti si guardi bene dal sottolineare abbastanza che quello stesso monitoraggio conferma che, contro le conseguenze gravi del Covid da variante delta, il farmaco a mRna conserva comunque una protezione ampiamente superiore al 90% (si va dal 93 al 98%). Un fatto che contribuisce a spiegare perché in Inghilterra, dove, peraltro, il 90% dei cittadini ha già gli anticorpi, sembri definitivamente spezzato il legame tra contagi, ricoveri e decessi. Dovrebbe essere questo a incoraggiarci: grazie alle vaccinazioni, possiamo pensare di trattare il Covid come un’influenza, perché se la gente s’infetta lievemente, ma non finisce in terapia intensiva, la pandemia non rappresenta più un vero e proprio problema di sanità pubblica.