Politica

I mal di pancia del M5S

Crisi di governo, cosa può succedere ora: le due ipotesi

Il M5S minaccia di non votare la fiducia. Forza Italia chiede una “verifica”. Cosa può succedere?

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Ora non resta che attendere di capire se Giuseppe Conte deciderà di fare il passo più lungo della gamba. Can che abbaia non morde, si dice. E per ora il leader del M5S ha dimostrato di sapere fare molto rumore senza arrivare davvero al punto. La crisi di governo l’ha annunciata, urlata ai quattro venti, ma mai resa nella pratica. Cambierà idea? Almeno fino a giovedì, quando è previsto il nuovo voto al Senato sul dl Aiuti, non dovrebbero esserci scossoni. Poi, chissà.

Ieri è stata una giornata infuocata sul fronte parlamentare. I grillini, che solo la scorsa settimana avevano votato la fiducia al decreto Aiuti, ieri non hanno votato lo stesso decreto aiuti. E sono usciti dall’aula. Un segnale “politico”, per così dire, per mostrare plasticamente tutto lo sconforto di un partito alla ricerca di identità. L’anima più movimentista del M5S infatti ribolle: dopo la scissione di Di Maio, dopo le polemiche sulle presunte richieste di Draghi a Grillo di silurare Conte, dopo la discesa a Roma dell’Elevato, dopo l’incontro Conte-premier, dopo la lista dei desideri stilata dai grillini, c’è un pezzo di Movimento desideroso di spaccare. L’altra metà, invece, guarda alle elezioni col terrore di chi non tornerebbe in Parlamento nemmeno con un miracolo elettorale. E infatti mentre a Montecitorio si formalizzava lo strappo, in Transatlantico gli uomini di governo del M5S invitavano i colleghi di maggioranza a “non drammatizzare“. Come dire: stiamo facendo un po’ di rumore, per tenere a bada i più caciaroni, ma non strapperemo.

La mossa grillina ha agitato comunque le acque. Forza Italia, con Berlusconi, ha colto la palla al balzo per chiedere una “verifica di maggioranza” a Draghi per evitare il logoramento del governo da parte dei Cinque Stelle. La Lega concorda. Il Pd è lì appeso a un campo largo che ormai vede solo Letta. E i centrini sanno che se si andasse al voto domani, non riuscirebbero a formare il benedetto “nuovo centro” che sognano. Mario Draghi, capita l’antifona, è salito al Colle per discuterne con Mattarella. “Ogni volta che M5s pone un problema politico, Draghi va al Quirinale, come fu per le armi – lamentano i grillini – Quando la Lega si è astenuta su decreti importanti come il dl green pass e riaperture non è andato”. I rumor dicono abbia fatto sapere ai partiti di averne “le tasche piene”. Se non ci fosse la Finanziaria alle porte, se non avessimo il Pnrr, la crisi del gas e una guerra alle porte, forse Supermario sarebbe già tornato a fare il nonno a Città della Pieve. Il presidente della Repubblica invece attende: per il momento non c’è alcuna crisi, visto che il M5S ha votato la fiducia, ma se giovedì le cose dovessero precipitare, allora si aprirebbero due scenari.

Primo appunto: pure con la sfiducia grillina, tecnicamente il governo resterebbe in carica senza problemi, visto che dopo la scissione di Di Maio l’addio dei parlamentari M5S non compromette la maggioranza. Dunque Draghi e Mattarella si troverebbero di fronte a due opzioni: dare corso alle parole (forse incaute) del premier, quando disse che “senza M5S non c’è governo”, e avviare una crisi che porti alle elezioni anticipate. Oppure tentare la via del rimpastone di governo. Roba da prima Repubblica, ma i voti ci sarebbero eccome. Draghi rimarrebbe a Palazzo Chigi, con o senza ministri grillini, fino alla naturale scadenza della legislatura. Sempre che l’inverno, con la crisi del gas, i possibili razionamenti e le bollette alle stelle, non suggerisca a qualche altro partito che dall’opposizione è più semplice evitare l’ira dei cittadini.