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“Crisi monetaria globale”: Barclays lancia l’allarme. Cosa succederà all’euro

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I cambiamenti climatici potrebbero entro il 2030 scatenare una crisi monetaria senza precedenti. A rivelarlo è uno studio pubblicato da Barclays, uno degli istituti finanziari più importanti al mondo. È importante puntualizzare che, secondo la banca con sede a Londra, non tutte le valute sarebbero colpite allo stesso modo. Se tra le economie più sviluppate, lo yen e lo yuan subirebbero le peggiori perdite, il dollaro statunitense sarebbe meno esposto al rischio. L’euro e il dollaro australiano potrebbero addirittura sovraperformare. Il primo vedrebbe aumentare il proprio valore dello 0,5% rispetto al dollaro statunitense entro il 2030 e del 3,9% nei prossimi 50 anni.

La ricerca condotta da Barclays appare un ulteriore avvertimento nei confronti dell’economia internazionale sul dover affrontare in maniera tempestiva ed efficace la crisi climatica che, seguendo l’andamento attuale, potrebbe portare ad un innalzamento delle temperature oltre 1,5°C rispetto al periodo preindustriale, come previsto dagli accordi della Cop26 di Glasgow. I motivi per cui alcuni Paesi, e di conseguenza alcune valute, rischiano effetti negativi più pesanti di altri sono spiegate all’interno della pubblicazione. Sono stati esaminati una serie di elementi in grado di incidere sulla produttività nazionale e sui flussi di capitale delle diverse economie mondiali. Possiamo citare, ad esempio, il possibile innalzamento del livello del mare, la riduzione dei raccolti, la diffusione di nuove malattie, la diminuzione dei flussi turistici, fino alle conseguenze del caldo sulla produttività dei singoli lavoratori.

La combinazione di questi parametri ha permesso di valutare nel lungo periodo quali sono gli Stati che potrebbero subire un minore afflusso di capitali, a causa dei cali dei diversi input di produzione, con la conseguente diminuzione del valore di una valuta. Il Giappone, per la sua natura geografica, dovrebbe fronteggiare già una serie di minacce per il proprio sistema produttivo. Prima tra tutte l’innalzamento del livello del mare, che rischia di far perdere allo yen il 3% del suo valore nel decennio in corso. Tale percentuale negativa rappresenterebbe tuttavia solo l’inizio del dramma, pronto a raggiungere la cifra shock di -55 per cento nei prossimi 50 anni. Il tasso di svalutazione di circa l’11 per cento per decennio porterebbe il Paese del Sol Levante a sprofondare sia letteralmente che metaforicamente. Una situazione analoga potrebbe toccare anche allo yuan cinese. La moneta della Repubblica Popolare Cinese subirebbe un calo del 5,5 per cento entro il 2030, per poi toccare un tasso di decrescita del 10% per i prossimi 5 decenni, per una perdita totale di valore pari al 53 per cento.

La Cina però, rispetto al Giappone, pagherebbe la rapida industrializzazione degli ultimi anni, che ha portato a preferire una politica economica di rapida espansione, non curando adeguatamente le politiche ambientali. Non solo. L’assenza di una rete civile di opposizione interna al regime di Pechino, composta da Ong, associazionismo, giornalisti, accentuerebbe il declino. Invece, l’attenzione dei Paesi Occidentali verso le tematiche ambientali, dovrebbe riuscire a mitigare gli effetti negativi, quantomeno sul valore della moneta.  All’attenzione politica per una transizione ecologica dei processi produttivi, va aggiunto anche un altro fattore, ovvero una forte apertura commerciale verso l’estero. Questo elemento garantirebbe ad esempio all’Australia di rafforzare il valore del proprio dollaro, nonostante un’esposizione simile ai rischi del Giappone. Le relazioni commerciali basate sulle esportazioni di materie prime le permetterebbero così di ovviare ai deficit morfologici.

Non si allontana da un discorso simile l’altro dollaro, ovvero quello statunitense. Gli Usa, grazie anche al ruolo assunto a livello internazionale, e beneficiando dei vantaggi dell’economia statunitense fortemente diversificata, sarebbero meno esposti agli effetti del cambiamento climatico sulla moneta nazionale. L’Eurozona, invece, potrebbe trarre un vantaggio competitivo da una situazione del genere. L’euro potrebbe ottenere un apprezzamento dello 0,5 per cento in meno di 10 anni, con un aumento del proprio valore del 3,9 per cento nei prossimi 50 anni nei confronti del dollaro. La valuta europea gioverebbe delle conseguenze delle politiche commerciali rivolte verso l’esterno. Nonostante questo scenario, però, neanche l’Unione Europea può dirsi al riparo da altre conseguenze economiche. Negli ultimi 10 anni gli eventi meteorologici estremi hanno portato a perdite globali pari a 1,38 trilioni di dollari. Un volume circa 8 volte maggiore rispetto ai 40 anni precedenti.

Carlo Toto, 4 agosto 2022