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Criticano Netanyahu ma si dimenticano dell’antisemitismo in stile Corbyn

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Continuiamo con la speciale zuppa di Porro straniera. Grazie ad un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.

Gideon Rachman è un editorialista del Financial Times dalle analisi spesso particolarmente raffinate, talvolta però, rappresenta un punto di vista cosmopolitista che in certi ambienti della Gran Bretagna sembra aver sostituito l’antica visione imperiale, peraltro mantenendone alcuni tratti tradizionali per esempio contro avversari storici di Londra, da quei maledetti dei russi che contrastavano il dominio britannico in Afghanistan a quegli impiccioni di ebrei che costituendo Israele hanno contribuito a minare l’egemonia del Regno Unito in Medio Oriente. Tracce di questo atteggiamento si colgono in un’opinione di Rachman dell’1 aprile nella quale si descrive un Benjamin Netanyahu teso rozzamente a cercare alleanze solo con nazionalisti tipo Jair Bolsonaro, o persino Rodrigo Duterte, o anche Viktor Orbàn, nonostante quest’ultimo nel suo contrasto agli interventi di George Soros esprima (Rachman dixit) un fondo di antisemitismo.

Secondo il nostro editorialista non è commendevole che una nazione circondata dall’islamismo fondamentalista oggi (dopo che si è abbondantemente bastonata l’Isis) innanzi tutto sciita made in Teheran, ben insediato in Libano e in Irak, nonché presente con truppe in Siria, pratichi una politica estera realistica (compresi importanti passi in avanti con Riad e il Cairo) e cerchi così interlocutori dovunque gli è possibile. Non è lodevole che il governo israeliano distingua in questo senso gli stati che chiedono controlli sull’immigrazione dai razzisti, magari essendo più sospettoso verso coloro che nascondono posizioni antisemite dietro la facciata dell’antisionismo tipo Jeremy Corbyn o Ilhan Omar, non ritenendo inoltre il pur legittimo mobilitarsi di Soros (che forse solo esagera a praticare tattiche sperimentate contro stati retti dai partiti comunisti anche contro stati pur stressati ma ancora obiettivamente liberaldemocratici, insieme non essendo del tutto encomiabile nell’intrecciare difesa dei diritti con speculazioni finanziarie) un’espressione dell’ebraismo mondiale e non considerando dunque antisemita chi si oppone a lui.

Non sappiamo se Netanyau, che pare sottoposto a una forte pressione da settori dell’establishment israeliano, vincerà le elezioni il 9 aprile, comunque le critiche rivoltegli da un editorialista principe del quotidiano della City (e del Nikkei) non convincono.