“I don’t know how to cure old”. Non so come curare la vecchiaia. E’ la frase che forse rimane più impressa nel vedere Cry Macho, il nuovo film diretto e interpretato da Clint Eastwood uscito ieri negli Stati Uniti (in Italia dovremo attendere ancora un po’). La pronuncia (riferita ad un cane) proprio Mike Milo, il protagonista della storia impersonato dallo stesso Eastwood. Ed è effettivamente quello che lo spettatore prova dal minuto 1 nel vedere un vecchio cowboy di 91 anni suonati che ha ancora tantissima voglia di stare in sella ma che il tempo sta consumando inesorabilmente. In Cry Macho i cattivi quasi non esistono, l’azione è poca e l’unica vera antagonista sembra essere appunto la vecchiaia contro cui non esistono rimedi. In diversi punti del film viene quasi voglia di entrare nello schermo per sorreggere il pluripremiato attore e regista o per risparmiargli un’eventuale caduta da cavallo. Perché nella nella testa dei suoi fan non esistono controfigure, deve essere proprio lui a montare i cavalli selvaggi e a domarli. Abbiamo bisogno di credere che sia così.
La trama
Cry Macho, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di N. Richard Nash, racconta la storia di Mike Milo, un’ex stella del rodeo con un passato difficile che, per ripagare un debito nei confronti del suo benefattore, decide di andare in Messico per riportargli a casa il figlio. Durante questo viaggio, che doveva essere di breve durata, ma che si rivelerà non privo di insidie e fuoriprogramma, i due sviluppano un rapporto di grande fiducia e, a tratti, sembra quasi di rivedere Walt Kowalsky, l’amatissimo protagonista di Gran Torino, solo più anziano, più magro e con una voce più flebile. Età a parte, è il solito vecchio Clint, nella sua veste più classica. Cappello da cowboy, stivali, cinturone e tanta bontà nei confronti del prossimo e anche degli animali. Prima di riportare il ragazzino al di là della frontiera gli insegnerà ovviamente a cavalcare. Non sia mai che arrivi in Texas senza saperlo fare! Per il resto, di concetti libertari ne emergono meno del solito. Milo è un personaggio più concentrato sulla sua interiorità, sulla massima socratica del “so di non sapere” e sulla ricerca di quella serenità che gli permetta di condurre serenamente in porto la sua esistenza.
La libertà di scegliere il proprio destino
Un insegnamento importante però Cry Macho ce lo lascia: il texano, infatti, non si intromette mai nelle scelte del ragazzino. Nonostante la sua esperienza e conoscenza del mondo e nonostante venga a sapere che l’amore del padre nei confronti del figlio non sia totalmente disinteressato, lascia sempre a Rafa, dopo averlo adeguatamente informato, la libertà di decidere cos’è meglio per se stesso. Niente imposizioni, nemmeno un consiglio innocente. E noi oggi sappiamo perfettamente come questa libertà sia maledettamente importante.
Cry Macho non è sicuramente uno dei film più riusciti di Eastwood, è inutile negarlo. Per certi versi può sembrare quasi la resa dell’ultimo cowboy. Eppure, noi saremo sempre lì a guardare i suoi film pronti a gustarci anche solo una frase, un insegnamento, una battuta di spirito. Un po’ come si fa con quei grandi campioni del tennis che sembrano sul viale del tramonto. Ci si mette alla tv a guardarli non perché debbano per forza vincere il torneo ma per assistere a quel rovescio perfetto o a quella volèe impossibile che solo il loro immenso talento può regalarci. Quella giocata, insomma, che vale il prezzo del biglietto e che diventa a tutti gli effetti “arte”. Ogni anno pregando che non sia l’ultimo. Sotto sotto, però, da inguaribili romantici quali siamo, crediamo che Wimbledon si possa ancora vincere. E che il nostro Clint abbia ancora molte cartucce da sparare.
“Freedom is just on the other side of this hill. Let’s go, kid”.