Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella finalmente interviene sulla necessità di emendare la materia controversa della giustizia, esprimendo riprovazione per le degenerazioni interne al Csm. Così la nota del Quirinale: «In riferimento alle vicende inerenti al mondo giudiziario, assunte in questi giorni a tema di contesa politica, il Presidente della Repubblica ha già espresso a suo tempo, con fermezza, nella sede propria – il Consiglio Superiore della Magistratura – il grave sconcerto e la riprovazione per quanto emerso, non appena è apparsa in tutta la sua evidenza la degenerazione del sistema correntizio e l’inammissibile commistione fra politici e magistrati».
Il mutismo prorogato del Capo dello Stato sulle oscenità istituzionali, che coinvolgono settori rilevanti della Magistratura, rischiava di provocare uno sfaldamento insanabile di fiducia verso uno dei pilastri fondamentali dell’assetto democratico. La nostra Costituzione, «la più bella del mondo», recita l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, valori che le conversazioni reperite sul telefono di Luca Palamara hanno ridicolizzato, facendo emergere un quadro di pornografia istituzionale con i guardiani del principio di legalità collusi in un sistema di insubordinazione alle regole. Se l’indipendenza e l’autonomia dei togati venissero percepiti come principi simulativi significherebbe proiettare sulla Costituzione la macchia indelebile dell’ipocrisia e generare un processo di delegittimazione del nucleo giuridico, che regola i fondamenti dell’organizzazione sociale e politica, da cui si irradia la struttura normativa dello Stato. Il presidente della Repubblica è il garante della Costituzione e non poteva contemplare placidamente alla dissoluzione di credibilità dell’ordine giudiziario con alcuni suoi rappresentanti che hanno palesemente tradito i precetti costituzionali di imparzialità, di autonomia e d’indipendenza.
Il magistrato dovrebbe essere un tecnico applicatore delle scelte adottate dal legislatore e non un interprete che plasma il proprio orientamento giurisprudenziale sulla base delle proprie convenienze di carriera o del pregiudizio ideologico. Negli ultimi 30 anni la politica ha subito la spirale di delegittimazione derivante dal sinergismo fra una componente della magistratura, di tendenza progressista, ed il sistema informativo, quello più organico alla sinistra, che le intercettazioni su Palamara hanno plasticamente suffragato. Un binomio, magistratura-media, che si è consolidato negli anni grazie ad un’anomalia, ad uno sbilanciamento di poteri, essendo tale complicità esente dalla responsabilità nei confronti dei cittadini. Infatti, il politico che sbaglia è sanzionabile dal voto, mentre un giornalista che prende un abbaglio e un magistrato che giudica erroneamente non incorrono in una sanzione. Tale squilibrio ha prodotto una classe politica vulnerabile che può essere spazzata via da un avviso di garanzia megafonato dai nuovi media.
Il quadro deplorevole che è emerso dallo scandalo Palamara non può rimanere senza conseguenze, ma dovrebbe accelerare la presa d’atto di una riforma radicale del sistema giudiziario. Il presidente Mattarella attraverso un messaggio alle Camere, così come previsto dall’art. 87 della Costituzione, può dare l’impulso ad una “costituente della giustizia” e in qualità di presidente del Csm scioglierne l’assemblea, essendo espressione del marciume correntizio che è la negazione dei concetti d’indipendenza e di autonomia a cui dovrebbero conformarsi i magistrati.
La nota del Quirinale, purtroppo, si limita ad un doveroso dissenso sulla decadenza morale che sta investendo settori della magistratura e a una ricognizione dei poteri del Capo dello Stato che non consentono un intervento diretto sulla riforma della giustizia, essendo di competenza del Parlamento. Ma il presidente Mattarella può rendere solenne e più incisivo il suo richiamo con un messaggio alle Camere e con lo scioglimento del Csm, che presiede, per “vincolare” i partiti ad un processo di riforma improrogabile.
I cittadini possono continuare a sentirsi rappresentati e garantiti solo se si immettono forti anticorpi nell’istituzione giuridica per rimediare alle perversioni di potere di un “ordine” precipitato nel caos. Dunque, l’auspicio è che le parole del Capo dello Stato non siano enunciazioni di circostanza, ma un monito rigoroso affinché venga mondato dal fango l’organo di garanzia dei diritti e delle libertà.
Andrea Amata, Il Tempo 30 maggio 2020