Cultura, tv e spettacoli

Da anti Salvini a sovranista, ma Favino sbaglia ancora

L’attore italiano alla Mostra del Cinema di Venezia fa un appello in difesa del cinema Italiano e accusa gli americani di “appropriazione culturale”

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Va dato atto al centrodestra al potere di aver rimesso al centro del dibattito il tema della italianità, e quindi della cultura nazionale. Era infatti abbastanza paradossale che quella che, in tutto il mondo, viene riconosciuta come una cultura specifica e dai tratti ben definiti, in Italia fosse sacrificata del tutto alle mode culturali esterofile che hanno avuto il predominio nella seconda parte del Novecento come reazione ad un molto presunto “provincialismo” della cultura italiana precedente.

Come spesso accade, non sempre però questa riconquistata centralità della cultura italiana si accompagna a una chiarezza di idee, finendo poi spesso per dare sfogo a risentimenti e a voglie di rivincita che poco hanno a che fare con quella postura disinteressata che dovrebbe essere propria della vera cultura. Uno specchio di questa confusione mentale è stata la recente mostra di Venezia, che quest’anno, dovendo far di necessità virtù a causa dello sciopero delle major hollywoodiane, ha dato molto spazio alle produzioni e agli attori nostrani. Quel che si è potuto palpare con mano, in linea di massima, è la crisi in cui versa il nostro cinema, certamente non più al livello di quello che era un tempo.

Mancano non solo e non tanto i soldi (quelli non c’erano nemmeno nella stagione d‘oro del “neorealismo”), ma la creatività e la fantasia. Che ciò sia il risultato di un predominio di un sistema assistenzialistico di Stato che ha imposto temi spesso lontani dal sentire nazionale,  favorendo attori e registi “amici”, e ha finanziato opere assolutamente non meritevoli a discapito di potenziali capolavori, a me sembra evidente. Ritornare a raccontare le storie dell’Italia vera, vissuta, è perciò fondamentale. Così come sarebbe opportuno che ci si soffermasse sul lavoro prodotto, facendo parlare le immagini, e non sul messaggio che si intende mandare, quasi sempre tale da compiacere la cultura di sinistra dominante.

Che bisogno c’era che Edoardo De Angelis, il regista de Il Comandante, qualche giorno fa dicesse: “Spero che chi vedrà il film pensi all’esistenza di leggi eterne immutabili, come le leggi del mare, che non vanno infrante”. Il riferimento era a Matteo Salvini, che ha avuto buon gioco nel rispondere garbatamente che, con le sue politiche migratorie, il numero degli sbarchi e dei morti in mare era sensibilmente diminuito. Forse per riequilibrare la barra a destra, ieri Pier Francesco Favino, il protagonista del fim di De Angelis, sicuramente uno dei migliori attori che il panorama italiano in questo momento offre, ha parlato di “appropriazione culturale” a proposito della scelta di un attore americano, Adam Driver,  come interprete di Enzo Ferrari nel film dedicatogli dal regista Michael Mann.

Quasi come se compito di un regista fosse quello di guardare il passaporto degli attori e non di sceglierli in base a quella che egli giudica l’appropriatezza al ruolo, che certo si può poi discutere. E quasi che Ferrari non sia stato un grande italiano proprio perché ormai appartiene a tutti. Egli è un eroe tipicamente italiano perché da italiano ha saputo parlare al mondo intero. Promuovere la cultura italiana non significa chiudersi in un guscio, ma farla apprezzare ovunque e anche farla imitare. La cultura italiana è, in quanto cultura, universale, come ogni vera cultura. Ma è particolare, in quanto italiana, perché interpreta quell’universale con una propria e particolare cifra. Ed è questa che va promossa e salvaguardata.

Corrado Ocone, 3 settembre 2023