Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha riferito alla Camera dei Deputati sui criteri che guideranno le nuove misure per mitigare l’epidemia di Coronavirus. Il governo – ha dichiarato Conte – è orientato a prendere decisioni «proporzionate e adeguate a seconda del territorio e del rischio concretamente rilevato». In sostanza, i provvedimenti restrittivi non saranno uniformi per tutto il territorio nazionale, ma modulati e differenziati sul livello di rischio locale che verrà calcolato sulla base di parametri scientifici. Dunque, gli interventi saranno mirati e l’eventuale inasprimento restrittivo verrà applicato soltanto in caso di sforamento della soglia di criticità.
«L’evoluzione dell’epidemia risulta molto preoccupante e la lettura del report dell’Iss ci ha costretto ad adottare nuove misure in anticipo», ha aggiunto Conte, precisando che il quadro epidemiologico italiano ed europeo è «critico» seppure il 94% dei contagiati è confinato in isolamento domiciliare. Tuttavia, le previsioni per il prossimo mese non sono confortanti e si teme una degenerazione della curva epidemica. Le anticipazioni sulla traiettoria dei contagi non tengono conto dell’impatto delle ultime misure adottate sulla curva di crescita, i cui esiti possono rettificare le ipotesi pessimistiche.
Nuovo Dpcm, cosa prevede
Nel nuovo Dpcm le disposizioni con effetti omogenei sul territorio nazionale riguarderanno: la chiusura dei centri commerciali nei giorni festivi e prefestivi, lo stop ai musei e alle mostre, la capienza sui mezzi di trasporto pubblico scende al 50%, le scuole secondarie di secondo grado possono passare anche integralmente alla didattica a distanza, la limitazione negli spostamenti serali, il divieto alla mobilità verso le regioni con alto coefficiente di rischio e le ulteriori misure restrittive potranno essere deliberate dalle Regioni sulla base dell’intensità dei contagi.
La novità principale del prossimo Dpcm è costituita dalla suddivisione del territorio in 3 fasce di rischio in cui verranno inglobate le Regioni.
«Se facessimo un lockdown come nella prima ondata – ha detto Conte – finiremmo per sbagliare strategia». Cosicché, viene decretato un lockdown flessibile o a “velocità variabile” che prevede di determinare l’inclusione di una Regione in una delle tre aree in base al coefficiente di rischio.
A stabilire il transito delle Regioni fra le tre macroaree sarà il Ministero della Salute attraverso un’ordinanza previa valutazione dell’indice Rt sui contagi (sopra 1,5 scatta l’allarme) e di altri 20 parametri, quest’ultimi analizzati nell’arco di 2 settimane. Fra le 20 condizioni quelle che incidono sul potenziamento delle misure restrittive sono riferite alle criticità registrate nella disponibilità dei posti letto e delle terapie intensive. Quindi, l’intensità del lockdown è subordinata alle insufficienze di quei parametri su cui il governo avrebbe dovuto porre rimedio.
Nessun mea culpa
Conte ha “rassicurato” che il commissario Domenico Arcuri procederà alla distribuzione di oltre 10 milioni di test rapidi, per assicurare l’obiettivo di 350mila tamponi al giorno, e alla consegna progressiva di 1.789 ventilatori. Considerando le accertate disfunzioni operative ed i ritardi accumulati dalla struttura emergenziale, le parole del premier non sono confortanti.
Nel suo intervento è mancato il momento dell’autocritica che è parte essenziale di un processo decisionale che si migliora nella consapevolezza degli errori. Ma se si omette tale cognizione, che attesta agli occhi dei cittadini un barlume di onestà intellettuale, il rischio è di perseverare in una modalità gestionale che reitera le criticità. Inoltre, l’autocritica renderebbe più digeribile l’emanazione compulsiva di Dpcm che impongono limitazioni drastiche alle libertà personali e perdite onerose all’economia nazionale. Ma per Conte, evidentemente, i deficit di gestione della struttura emergenziale non meritano la sanzione politica che implicherebbe il riconoscimento della connivenza al danno.
Andrea Amata, 3 novembre 2020