Le immagini dei tifosi di Milan e Inter tutti accalcati fuori da San Siro prima del derby fanno discutere. E non poteva essere altrimenti. Era stato così alla morte di Maradona, con i tanti supporter napoletani che erano accorsi in massa fuori dall’ormai ex San Paolo per omaggiare il loro eroe, ed è così ora, con le tifoserie meneghine che hanno radunato circa 12 mila persone all’esterno del Meazza per caricare i loro beniamini nel pre-partita di un’importante stracittadina. A differenza di quanto successe a Napoli, però, sembra che le autorità siano ora al lavoro per identificare quanti più tifosi possibile tramite video e immagini per poi far recapitare le multe del caso. Probabilmente, lo stesso copione che si ripeterà con i supporter dell’Atalanta, rei, come diceva un giornale oggi, di aver addirittura dimenticato il corteo di bare che, la scorsa primavera, venivano portate via dall’esercito.
Gli ultras come i runner
Leggendo i giornali e girando qua e là sui social non si può fare a meno di notare come la maggior parte delle persone condanni senza mezze misure quello che è avvenuto domenica pomeriggio e che si è ripetuto ieri a Bergamo, in occasione del match di Champions Atalanta-Real Madrid.
Molti degli stessi tifosi di Milan e Inter si sono schierati apertamente contro gli ultrà, accusandoli di essere degli irresponsabili, di mettere in pericolo la salute pubblica e di invalidare i sacrifici della collettività per futili motivi. In effetti va detto che radunarsi in migliaia, tutti appiccicati, con un virus in agguato, non è certamente la cosa più furba da fare. Così come è comprensibile che si rimanga quantomeno perplessi, se non proprio incazzati, nel veder chiusi negozi, ristoranti e impianti sciistici per poi assistere a scene del genere nel cuore della città.
Fatte queste dovute considerazioni, bisogna però anche essere onesti fino in fondo. E chiedersi: è forse colpa dei tifosi se le istituzioni costringono le attività economiche a chiudere e permettono invece raduni di questo tipo? Un ragionamento serio sulla vicenda non può non tenere conto del fatto che queste manifestazioni fossero organizzate da giorni e giorni. Da tempo, infatti, sui profili social delle rispettive tifoserie si chiamava alle armi in vista della partita e nel piazzale c’erano infatti – prontissimi – Carabinieri, Digos e compagnia bella. Anche le stesse società ne erano a conoscenza tant’è che i pullman delle squadre hanno sostato per qualche minuto in mezzo ai supporter e l’interno dello stadio e i palazzi limitrofi erano coperti di bandiere e striscioni piazzate nei giorni precedenti. Quindi se proprio bisogna prendersela con qualcuno, incazziamoci con chi ha reso tutto questo possibile, con chi fa il duro con i deboli e non fa altrettanto coi forti.
Io, però, devo dire la verità, sono per un approccio totalmente differente alla questione. A mio parere, i tifosi milanesi, fra cui figuravano anche diverse famiglie e molte persone non collegate al tifo organizzato, hanno un’unica colpa: quella di essere stati coerenti con loro stessi. D’altra parte l’essenza del tifo è proprio quella di anteporre spesso la passione alla razionalità. In tempi normali questo stile di vita sarebbe ordinaria amministrazione per dei fan accaniti, ma oggi diventa a tutti gli effetti un atto di ribellione. Un po’ come fu per i poveri runner nei mesi caldi dell’anno scorso quando fare jogging finì per essere un gesto quasi rivoluzionario e quindi pericoloso.
Meglio ribelli che soloni
Ecco perché, nonostante tutto, ai soloni dei balconi preferisco di gran lunga i ribelli. Anche a costo di essere impopolare, scelgo di stare dalla parte di chi non ha perso il coraggio di trasgredire le regole, di chi crede ancora in qualcosa, di chi vuole continuare a vivere, di chi si assume i rischi del caso in totale coerenza con l’ideale supremo del proprio credo: “con te fino alla morte”. Vedete, si fa presto a fare i leoni da tastiera o “da balcone”.
Ma la sensazione è che tutto questo astio nei confronti dei “ribelli”, siano essi tifosi o ristoratori disperati, nasconda in realtà una sorta di invidia inconscia. Perché, di fatto, loro fanno quello che io non ho il coraggio di fare. Se ne infischiano delle leggi, del virus, delle multe, dell’opinione pubblica. Io, invece, sono bloccato qui, impotente, fra mille paure, gabbie mentali imposte dalla società e la cieca ubbidienza a regole che mi costringono alla non-vita. Sotto sotto vorrei essere come loro ma non ho le palle per difendere il mio lavoro o quello in cui io credo. Preferisco un sussidio piuttosto che rischiare una multa. Forse è soprattutto per questo che li insulto. Perché mi ricordano drammaticamente chi sono.