Quando – pochi giorni fa – il Comune di Pistoia comminò a don Massimo Biancalani, noto “parroco dei migranti”, una sanzione amministrativa di 20mila euro per utilizzo improprio dei locali della parrocchia di Vicofaro, il presule annunciò la sua intenzione di non rispettare le prescrizioni dell’amministrazione locale con il proclama: “La giustizia e la carità vengono prima della legge. Disobbedire è una virtù”. Parole, queste, che fanno eco a quelle – più colte e raffinate – pronunciate da Tomaso Montanari, rettore di Unistrasi.
Nella polemica sul mancato ammainabandiera in occasione del lutto nazionale, proclamato dal governo, in memoria di Silvio Berlusconi, Montanari ha rivendicato – in modo comunque volutamente goffo e scomposto l’autonomia degli atenei – prevista dalla Costituzione, ricordando con rammarico, la non adozione, da parte dei padri costituenti, della proposta di Giuseppe Dossetti di includere nell’articolo 3 il seguente comma: “La resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino”. Stessi richiami alla disobbedienza civile sono presenti nelle istanze degli “eco-vandali”, vezzeggiati dalla segretaria PD Schlein e dal M5s tutto.
Gli esempi sopra riportati e gli espliciti riferimenti alla “resistenza”, mostrano i lati deboli e scoperti di un pensiero dal profondo significato filosofico e politico con una storia millenaria importante. Già Sofocle, nella sua Antigone, sostiene che vi sia un diritto superiore e “naturale” anteriore alle leggi umane. Nel mondo latino, Cicerone, nel De Legibus, affermando che “è cosa stoltissima considerare giusto tutto ciò che sia stabilito nei costumi o nelle leggi dei popoli”, pone l’accento sul fatto che la fonte del diritto è esclusivamente la “legge che consiste nella retta norma del comandare e del vietare”. Dalle sacre scritture (Pietro: “Obedire oportet Deo, magis quam hominibus” – Atti 5, 29) in poi, il pensiero cristiano è pieno di richiami alla disobbedienza, fino alla liceità del tirannicidio (Tommaso d’Aquino).
Scendendo per li rami, si possono ricordare la “dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti” e la costituzione francese del 1793, con i loro portati filosofici, come testi legittimanti la “resistenza”. Infiniti potrebbero essere gli esempi teorici e i testi di valore costituzionale che fecero (o fanno) riferimento o stabilirono il diritto alla resistenza, per sottovalutare il fenomeno.
Ciò non esclude, in parte, l’ambiguità insita nel concetto “resistenza”. Si prendano ad esempio le parole di Hanry David Thoreau (Disobbedienza civile, 1846): “Se l’esattore delle tasse, o qualunque altro pubblico ufficiale, mi chiede, come qualcuno ha fatto, ‘ma cosa devo fare?’, la mia risposta è: ‘se vuoi veramente fare qualcosa, dai le dimissioni’. Quando il cittadino si rifiuta di obbedire, e l’ufficiale dà le dimissioni dal suo incarico, allora la rivoluzione è compiuta”. La disobbedienza richiamata dal filosofo di Concord (Mass.) sembra sfociare nell’anarchismo ed in un libero arbitrio che mina alle radici ogni forma di civile istituzione, creando una pericolosa consequenzialità tra i principi di disobbedienza e rivoluzione.
Il ribellismo “adolescenziale” è l’unico sopravvissuto tra le pulsioni presenti nei “formidabile” ’68. Esso si declina in un vanesio ed autoreferenziale senso di superiorità della personale weltanschauung, rispetto alle legittime – sia nella forma, sia nella sostanza costituzionale – disposizioni delle istituzioni democratiche. Gli esempi, ancorché miserrimi per “peso specifico”, sopra riportati sono un patente deriva del principio di disobbedienza – sfociato nel più livido qualunquismo – nei confronti del quale non si può non provare disagio. Se queste sono le premesse del “diritto alla resistenza” il futuro non promette nulla di buono.
Daniele Biello, 10 luglio 2023