Se sei il presidente Usa, Stato guida della Nato e prima potenza militare non puoi certo permetterti gaffe. Men che meno errori, soprattutto in campo diplomatico. Ecco perché la sguaiata uscita di Joe Biden a Varsavia contro il “macellaio” Putin che “non può restare al potere” ha creato un caos tale che rischia di mettere in imbarazzo l’intero mondo occidentale. Perché una cosa è contrastare l’autocrazia di Vladimir lo Zar, criticarne i metodi, sanzionarne l’economia o contrastarlo sul campo ucraino; un’altra è evocare un cambio di regime di una potenza nucleare.
La Casa Bianca smentisce Biden
Non è un caso se ieri il Segretario di Stato, Antony Blinken, ha provato a correggere il tiro durante l’incontro con la stampa a Gerusalemme: “Non abbiamo un piano per il cambiamento del regime a Mosca – ha detto – Il senso delle parole del presidente Biden è che Putin non può scatenare la guerra o aggredire l’Ucraina o qualcun altro”. In fondo già la Casa Bianca era intervenuta per smentire l’inquilino dello Studio Ovale, corretto come uno scolaretto poco avvezzo alle questioni internazionali.
Sleepy Joe è inciampato quando ha cercato di improvvisare. Prima infatti s’era limitato a leggere il discorso preparatogli dal suo staff, con tanto di colte citazioni che andavano da papa Wojtyla a Abraham Lincoln. Poi però è caduto sugli insulti all’omologo russo, definito il “dittatore curvo a ricostruire un impero”, ma soprattutto il “macellaio” la cui “brutalità non potrà mai triturare la volontà di essere liberi”. Infine, l’improvvisazione a braccio: “Per l’amor del Cielo, questo uomo non può restare al potere”. Come, scusi?
La reazione degli alleati occidentali
A sentire quelle parole più di un capo di Stato del blocco Nato è saltato sulla sedia. Non i Paesi dell’Est, in particolare i leader polacchi, che con la Russia hanno un conto aperto. Ma gli altri sì. Emmanuel Macron ha bacchettato Biden facendo notare che lui non avrebbe usato “la parola ‘macellaio’: dovremmo evitare l’escalation nelle parole e nelle azioni”. Anche in Germania è emerso un brivido di irritazione: la caduta di Putin “non è l’obiettivo della Nato e neppure del presidente americano”, ha detto il cancelliere tedesco Scholz. Nadim Zahawi, ministro dell’Istruzione di Boris Johnson, che pure è sempre stato molto duro con Putin, ha ricordato che “saranno i cittadini a decidere la sorte del loro presidente e dei suoi accoliti”. Non certo gli Stati Uniti. Insomma: il discorso di Joe è stato talmente divisivo che pure Enrico Letta s’è affrettato a twittare che “ha aperto dubbi e interrogativi che è bene siano rapidamente chiariti”.
Olaf Scholz e Macron, che prima dell’avvio della “operazione speciale” in Donbass avevano cercato di portare a più miti consigli Putin, sanno infatti che lo Zar può essere imprevedibile. E che tirare la corda può diventare pericoloso. Se poi l’obiettivo è quello di raggiungere un accordo negoziale, mettere nell’angolo chi ha un bottone atomico in mano non è mai una buona idea. Erdogan ieri ha telefonato a Putin, gli ha chiesto il “cessate il fuoco”, ma ha anche mandato un messaggio critico a Washington: “Se bruciamo tutti i ponti con Mosca, come faremo a trattare?“. Il timore infatti è che il Cremlino, messo sullo stesso piano di dittatori come Nicolas Maduro, Bashar al Assad o Saddam Hussein, sentendosi nel mirino, lasci il tavolo dei negoziati o alzi di molto la posta in palio. Rimandando, magari, la fine della guerra.
Stamattina ai cronisti che gli chiedevano se intendesse cambiare il governo di Mosca, Biden è stato costretto a rimangiarsi le parole ed ha risposto con un secco “no”. Ma quel che è fatto è fatto. E la gaffe resta.