Due macelli, entrambi in Lombardia, uno su una barista, l’altro su una famiglia, identica la spiegazione: “Non so perché l’ho fatto”. Cioè a dire la totale latitanza dell’umanità fatta di logica, di pensiero razionale. Non sai perché hai scannato una povera crista che voleva solo passeggiare in santa pace sotto il cielo stellato? Non sai perché hai trucidato la tua famiglia, sangue del tuo sangue? Non lo sanno o non lo vogliono dire? Togliamo, per favore, una buona volta di mezzo le illuminazioni pomeridiane degli psichiatri e degli opinionisti col libro da pubblicizzare, andiamo al sodo: due balordi ammazzano per noia e nella strampalata convinzione di arrivare a una notorietà, di diventare famosi.
Strampalata ma non campata per aria perché famosi lo diventano, tutti parlano di loro, almeno per un po’: quello che questi zombie giovani non calcolano, è che sono inflazionati, già domani ne arrivano degli altri e loro finiscono in archivio prima di arrivare al reality o ai milioni di follower. Non sanno perché agiscono di coltello come sicari consumati, ma fare a pezzi altri esseri umani non è cosa da poco, bisogna saperlo fare, avere la freddezza necessaria, il ghiaccio che ha congelato l’anima. Il balordo Moussa, quello della Bergamasca, girava con addosso 4 coltelli e ha detto: la prima che ho trovato l’ho scannata, però chiedendole scusa. Cosa che i giornalisti da trastullo voyeuristico sembrano avere particolarmente apprezzato. L’altro, quello di Paderno Dugnano, ha macellato il fratello di 12 anni, poi il padre che gli veniva in soccorso, poi la madre “che era più severa”. Una furia, ma dicono: bisogna ascoltare, bisogna capire.
Ma da capire cosa c’è? Questa è semplicemente la banalità del male inflazionato, è, per dirla in modo più lirico, “il buio sulla luce” come lo sintetizza con genialità d’artista il mio amico Tricarico. Ma che cazzo vuoi ancora capire, per dire giustificare. Se tutti i giorni c’è qualche zombie che maciulla per allegria, che altro resta da fare se non eliminarli dal consorzio civile? Insomma non si dica la pena di morte, che è una barbarie di Stato con tutte le strumentalizzazioni orribili del caso, ma che almeno non se ne sappia più niente. Altro che “nessuno tocchi Caino” che è la formula più ignobile, più diabolicamente stupida che si possa immaginare.
Vogliamo davvero capire o vogliamo con tutte le forze non capire? Tanto per cominciare, che c’è qualcosa che non torna, che non funziona più nella nostra società dissociata e non è tanto la violenza endemica, la furia demente degli zombie, a quella siamo anche assuefatti, è la disponibilità ossessiva, demoniaca a comprenderli, a giustificarli che è già complicità. Per cosa? Per quel malinteso, delirante o maligno perdonismo cattolico? Per il narcisismo dei presuntuosi, fra i quali quasi sempre le stesse vittime? Per superficialità acefala? Quello che pare chiaro è che siamo davanti a una mutazione genetica: questi giovani zombie non sono come noi, non sembrano neppure figli nostri.
Ho osservato con attenzione discreta un paio di gruppetti di questi piccoli vampiri allo stabilimento marittimo dove vado da anni: in tutta la stagione non li ho visti mai prendere un minuto di sole, un bagno, non li ho mai visti comportarsi da ragazzi della loro età: perennemente a marcire nella zona bar, giocando a carte tra nugoli di sigarette, di alcolici e bestemmie da taverna e le più scatenate erano proprio la ragazzine. Curatissime, della bellezza dell’asino, con certi costumini sexy da vergognarti se ci cade l’occhio. Io li guardavo e poi pensavo: questi qui sono capaci di tutto, di sterminarsi tra loro o di farmi fuori. E mi sentivo diventar cattivo, come un animale che, percependosi minacciato, drizza il pelo ed è pronto all’attacco.
Dicono tutti: non mi sento più sicuro a andare in giro la sera. Hanno ragione, ma non è più solo questione di immigrazione violenta, è una faccenda anagrafica, di violenza assurda che contagia i locali come quelli di importazione. Sì, c’è stata una mutazione in questi tipi umani, sempre meno umani: quel bestemmiare perpetuo è l’unico codice che conoscono, al di là del quale c’è l’afasia. Ma l’afasia è anzitutto del pensiero. Non riflettono, non hanno e non cercano contezza delle proprie azioni, non si pongono il problema delle conseguenze, sanno mettere insieme rapporti di causa effetto. “Non mi dispero” dice il balordo Moussa “se no non ti rialzi più. Ho tenuto il coltello con cui ho scannato Sharon per ricordo”. L’altro, Riccardo: “Mi sentivo trascurato, fuori dal mondo”. E invece di eliminarsi lui, in caso, ha eliminato tutta la sua famiglia. Adesso nel mondo c’è di più?
Questi non sono come noi, sono organismi senza altre funzioni che quelle fisiologiche, sono pura pulsione. Almeno speriamolo, che non sono come noi, ma non ne sarei più tanto sicuro: so per certo di casi di ragazzini che molestano pesantemente le morose che non li vogliono più e le madri, invece di dissuaderli, li sostengono, li spingono ad insistere: “Beh? Perché non può obbligarla a tornare insieme?”. Dietro ogni femminicidio, come orrendamente va di moda chiamarlo, c’è una vicenda di mesi, di anni, che tutti conoscono, sono tragedie annunciate e perfino attese nell’inerzia di una sedicente società che non reagisce, non fa niente, è catatonica o rassegnata. In compenso le giustificazioni postume sanno molto di depravazione morale, ci si eccita al pensiero dell’orrore e, se appena si può, se ne cava la speculazione politica, si usa la strage dell’italiano bianco per coprire, quasi legittimare quella dell’italiano nero. Si escogitano spiegazioni che lasciano il tempo che trovano, dai social al lockdown, dai raputs al patriarcato, si prendono per buone le giustificazioni della follia, “ho trucidato ma non so perché”: e questa sarebbe una scriminante? “E’ sconvolto, ha pianto davanti al giudice”.
Dopodiché scatta, puntuale, inesorabile, la perizia psichiatrica. Ma andrebbe fatta a chi ne abusa: davvero siamo arrivati a prenderci in giro fino a questo punto? Capire o non voler capire che una una società che si regola a questo modo, che rinuncia ad imporre i suoi paletti, i suoi argini, una società pilatesca come la attuale è destinata a franare? Peggio, a lasciarsi conquistare da chi la penetra con tutt’altre regole di vita, discutibili, crudeli fin che si vuole, ma ancora esistenti, ancora chiare. Nelle Marche un supplente di 26 anni che come primo lavoro faceva il discotecaro finisce in galera perché adescava le ragazzine, le ricattava sessualmente in cambio di buoni voti e le “vittime” non avevano problemi a concedersi. Le madri non sapevano? O alla fine hanno denunciato per ritorsione? “Non so perché l’ho fatto”, anche questo cialtrone. E poi: “Sono sotto choc”. Per ciò che ha fatto? No, perché lo hanno beccato.
Max Del Papa, 3 settembre 2024
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