Cronaca

Dà un bacio, condannato per violenza sessuale

È successo a lavoro di fronte alla macchinetta del caffè. L’uomo venne assolto, ma per il giudice civile deve risarcirla

bacio lavoro condannato © Andrey Rykov, Billion Photos e LightFieldStudios tramite Canva.com

Nel luglio del 2016 una donna delle pulizie di 30 anni denunciò per violenza sessuale un suo conoscente che, a suo dire, l’avrebbe baciata contro il suo consenso mentre, durante una pausa di lavoro, discorrevano davanti alla macchinetta del caffè.

Al successivo processo, tenutosi dopo ben 6 anni, la donna, assistita dall’avvocata Sabina Balzola, raccontò la sua versione: “Stavamo prendendo un caffè e stavamo ridendo e scherzando, poi mi sono messa le cuffiette, quindi non sentivo niente. Mi sono sentita prendere da un braccio, lui mi ha spinta contro la parete. E mi ha baciata in bocca. Mi ha traumatizzata.” Sembra che dopo il  bacio, lui avesse chiesto: “Potevo?”. E lei, sconvolta, avesse risposto: «È una cosa che non si fa!”

Completamente diversa la versione dell’uomo, che all’epoca lavora come tecnico di una impresa edile. “Ci incontravamo sempre davanti alla macchinetta, per non più di due o tre minuti al giorno – dichiarò l’uomo -. La reputavo una persona di piacevole conversazione. Fra noi infatti si creò un po’ alla volta un minimo di confidenza. Quel giorno feci una stupida battuta di spirito e lei, subito, si sporse verso di me. Così ci baciammo”. Quindi, secondo quest’ultimo, fu la donna a prendere l’iniziativa, tanto che – sempre secondo il suo racconto – la donna gli chiese ripetutamente di parlare in merito all’accaduto. Ma lui, ammettendo di essere stato forse un po’ sgarbato, volle chiudere lì la cosa, dato che era sposato e che “cose così, sul posto di lavoro, non si dovrebbero mai fare.”

Nel primo processo la pm Fabiola D’Errico aveva chiesto la condanna dell’imputato per violenza sessuale. Il collegio presieduto dal giudice Paolo Gallo aveva ritenuto che l’indagato, poi assolto, si fosse «convinto che con la donna fosse sorta una complicità tale da travalicare il limite del rapporto amicale». «Il giorno del fatto — aveva precisato il tribunale — i due avevano, come al solito, preso il caffè e scherzato tra loro. Tale incontro aveva confermato, nella prospettazione dell’imputato, lo speciale grado di confidenza tra i due».

Tuttavia, dopo la sentenza la ragazza, nonostante la procura non avesse fatto appello, aveva deciso di chiedere giustizia da sola e come parte civile, si era rivolta alla Corte d’appello chiedendo la condanna dell’imputato al risarcimento del danno. I giudici le hanno dato ragione. «La prospettiva del tribunale che aveva assolto l’imputato riporta la materia indietro di svariati decenni», aveva scritto la legale di parte civile nel ricorso in appello, aggiungendo: «L’onere di fare percepire chiaramente il proprio dissenso graverebbe sulla donna che subisce un’azione di violenta compromissione della propria sfera sessuale. Non viene presa in considerazione la possibilità che sia invece colui che pone in essere un atto profondamente invasivo a doversi preventivamente accertare del consenso della stessa». «Sono molto soddisfatta. La mia assistita è ancora scossa dalla vicenda — commenta Balzola — ma questa rivincita non può che restituirle fiducia nella giustizia».

Ora, sebbene il presunto fattaccio non appaia di così grande rilevanza, non ci sentiamo affatto di condividere la comprensibile soddisfazione dell’avvocata Balzola, soprattutto in considerazione del fatto che la condanna al risarcimento subita dal tecnico torinese si basa unicamente sulla testimonianza della donna. Testimonianza diametralmente opposta a quella dell’imputato.

Ebbene, per quanto io non abbia mai avuto troppa simpatia per tutti quei personaggi che a Roma si definiscono “provoloni”, tanto più se essi sono già accoppiati, l’esito a lui infausto del processo d’appello contribuisce a far passare un pericoloso principio giuridico: ovvero che nel caso di una presunta violenza o molestia sessuale sia sufficiente la parola dell’altrettanto presunta vittima per giungere ad una sicura condanna.

D’altro canto, soprattutto dopo la tragica morte di Giulia Cecchettin, a cui è seguita una martellante propaganda contro la cosiddetta cultura del patriarcato, il clima che si è creato non sembra contribuire, come parrebbe dimostrare la strana vicenda del bacio “rubato”, a rendere il più possibile imparziali, scevri da preconcetti ideologici, i giudizi relativi alle controversie della summenzionata natura tra uomini e donne.

Claudio Romiti, 24 febbraio 2024

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