I filosofi esistono, nel mondo, anche per mostrare una prospettiva anomala, originale, persino stravagante rispetto a quella che appare la certezza della verità condivisa dalla maggioranza. È questo ruolo unico, di rottura rispetto a quello che spesso nella storia è il pensiero dominante, a costituire l’essenza della storia della filosofia: un’inesauribile sforzo verso la ricerca della verità, che non può essere raggiunta (se mai potrà essere raggiunta) se non attraverso un inesauribile ciclo intellettuale fatto di tentavi ed errori. É questa inesausta ricerca che sta al centro della filosofia a cui spesso si guarda con scetticismo, persino con alterigia popolaresca. Ma si tratta di una ricerca che non smette mai di farsi largo nella coscienza affamata dell’uomo.
Agamben e Cacciari, con la loro lettera di qualche giorno fa, hanno suscitato scandalo semplicemente perché hanno interrogato, filosoficamente, ovvero in maniera originale e profonda, le ragioni, e gli eventuali pericoli, dei provvedimenti presi dal governo. Il conflitto di idee dovrebbe esser riconosciuto come quanto di più importante ci sia nella costruzione di “un mondo migliore”. Invece, nonostante tutta la loro autorità ormai riconosciuta da decenni, sono stati presi per pazzi, anzi, peggio, quasi per sciocchi. Ogni idea è chiaramente discutibile, si può benissimo non condividere, o persino contrastare con forza le idee di filosofi come Agamben e Cacciari, ma la squalifica derisoria applicata nei loro confronti è una forma, attuale e “pacifica”, di repressione del dissenso. In ogni caso, nulla di nuovo sotto il sole.
La storia della filosofia è punteggiata di repressioni di ben altra gravità. Ad esempio, pochi anni dopo che Giordano Bruno fu messo al rogo in piazza Campo dei Fiori, un altro filosofo meno noto di lui ma di grandezza indiscutibile subì una sorte ancora più crudele. Si sta parlando di Giulio Cesare Vanini, consegnato alla storia della filosofia come il “grande scettico”, ma che in realtà fu molto di più. Con le sue opere e la sua testimonianza ha segnato un punto di svolta nella storia della filosofia occidentale contribuendo, insieme a pensatori del calibro dello stesso Giordano Bruno e Spinoza, alla nascita dell’Europa laica e moderna. Eppure Vanini, ribattezzato dai suoi contemporanei “aquila degli atei” per gli esiti antiteologici e antimetafisici del suo razionalismo radicale, nonostante negli ultimi anni sia stato oggetto di una vera e propria riscoperta, resta ancora poco conosciuto in Italia.
Cerca di porre rimedio a tale mancanza il volume in uscita in questi giorni intitolato Giulio Cesare Vanini: il filosofo, l’empio, il rogo, (Liberilibri). L’autore Mario Carparelli, vicepresidente del Centro Internazionale di Studi Vaniniani e curatore insieme a Francesco Paolo Raimondi dell’edizione critica con traduzione italiana delle opere di Vanini per Bompiani, raccoglie in queste pagine gli eventi fondamentali della sua appassionante vicenda umana e intellettuale, una vita avventurosa fatta di fughe e vagabondaggi in giro per l’Europa.
Vanini demoliva superstizioni e credenze in maniera spregiudicata e irriverente, avversava qualsiasi fede e qualsiasi finzione politica, smascherava l’uso subdolo della religione a fini di potere, confutava il sapere sistematico, gli schemi metafisici, il platonismo, l’aristotelismo, il materialismo epicureo-lucreziano e il neoplatonismo. Negava una finalità trascendente del mondo e adorava soltanto la dea natura, da cui l’umanità dipende in tutto e per tutto: nel bene e nel male, nella felicità e nel dolore, nella vita e nella morte. E per le sue idee, il 9 febbraio 1619, all’età di soli trentaquattro anni, questo ex frate carmelitano viene condannato al rogo per «ateismo, bestemmia, empietà e altri eccessi» e bruciato vivo a Tolosa in una piazza che oggi porta il suo nome. Prima di essere consegnato alle fiamme gli viene strappata la lingua, l’organo con cui aveva “offeso” Dio.
Liberilibri, 30 luglio 2021