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Dai cantanti piddini solo musica pandemicamente corretta

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Lucio Dalla diceva che i critici musicali in Italia sono saccenti e non aveva torto ma i cantanti sono forse migliori? Non brillano anche loro per la spocchia di voler dire tutto su tutto senza saperne niente, non esibiscono sempre la stessa tracotanza già alla prima comparsata festivaliera? Prendi questa Elodie, cantante di borgata più preoccupata di trovarsi un look ed uno sponsor: su Twitter, che è un recinto bovino, provoca i leghisti in fama di infami, di schifosi così che agli inevitabili muggiti di ritorno può recitare la parte della martire etnica. L’argomentazione viaggia sulla terza elementare, un totale appiattimento, una pochezza sconcertante ma Elodie il suo risultato l’ha ottenuto, domani qualcosa si farà, per esempio le treccine blu.

Non sono artiste, sono influencer a prato basso, molto più scafata quella vecchia volpona di Fiorella Mannoia che se c’è da smarronare non è seconda a nessuno. Rossa di crine e di fede, la cantora del ceto tedio si pone come ufficiale diplomatico di collegamento nella fusione 5 Stelle – Pd; già alfiera melandrina, la regina della noia ha incarnato praticamente tutte le anime della sinistrella fané dal crollo del Muro in poi e ancora pontifica: contro Salvini, contro i sovranisti, e quinci i razzisti da lungi e quindi i fascisti, parole in libertà, sgangherate il giusto, idee di riciclo ma quelle che piacciono alla gente che si piace e si fa un po’ di male ascoltando le lagne fiorellesche, oggi in versione Covid.

Perché c’è stata una riconversione piddina alla mascherina anche tra le ugole; soprattutto fra quelle. Uno zdanovianismo sanitario un po’ imbarazzante in un panorama neomelodico italiano, lasciamo stare il rock che non abita qui, franato a sinistra, conformista e organicamente spocchioso, fatto di personaggi che per retaggio e per calcolo strizzano l’occhio alle droghette, al liberalismo tossico e allora come mai si preoccupano di un virus che non mette più nessuno in terapia intensiva? È chiaro: seguono le direttive di partito altrimenti non lavorano, la filiera resta in mano alla sinistra dell’Arci, del Pd, degli eventi collaterali e dei salotti un po’ massonici. Questi guitti a tessera annonaria non mancano mai di glorificare se stessi: io sono stato il primo (o la prima), io ho aperto certe strade, io ho pagato lo scotto, io avevo tutti addosso, io non entravo in Rai, io ero troppo avanti, io non ho santi né sponsor, io mi sono costruito il mio epocale successo tutto da solo, io io io come l’asinello di Girgenti.

Una mitopoiesi che si stempera in mitopugnetta, l’eterna autocelebrazione di chi si sente candidato a vita al ruolo di ribelle; dopodiché li vedi, tutti e 44 gatti in fila per tre col resto di due, con la mascherina sul muso come tanti piazzisti dell’isteria governativa. Ecco qua il nostro Vasco Rossi, virologo rock da Zocca, proteso in una analisi clinico-filosofica di insidiosa complessità: “Negazionisti del cazzo! Eeeh! Oooh! Aaah! Sono-ancora-qua!!! capitto! Mettete la mascherina! (segue farfuglìo incomprensibile)”. Rossi è sempre passato, chissà poi perché, di sinistra, forse in quanto da ragazzo esaltava il fegato spappolato e lo stile di vita da rockstar vitellona. In realtà è uno che, amministrandosi da 30 anni, s’è fatto il villone a Los Angeles, non sa dove investire i piccioli, riempie gli stadi e gli conviene il conformismo di risacca – o forse quello che, dentro, ha sempre coltivato, i nostri eroi all’italiana sono così, peccatori formato famiglia che dopo un po’ si pentono e si sentono in dovere di ammazzare i giovani, che son quelli che gli consentono il jet e lo yacht, con predicozzi gesuiti più insostenibili ancora dei loro dischi bolliti. Poi magari, e questa sia chiaro è una considerazione generale, nel privato non hanno alcun titolo perché si sfondano peggio che a 20 anni, ma se c’è un tratto comune dei canterini nostrani è il perbenismo familista.

Il conformismo degli zelanti è rivoltante. C’è questo Vinicio Capossela, contabile in fama di artista, il quale trova che “le mascherine rendono affascinanti le donne”. Il califfo Al Baghdadi potrebbe dire meglio? Bocelli, che i miliardi li ha fatti, prima dice una cosa di buon senso, cioè che non bisogna dare i numeri, poi si rinnega nel modo più mortificante. Che bisogno ha? Quello di belare nel gregge, tutta una gara a chi sfoggia le paranoie più sofisticate e le mascherine più stronze: griffate, vippate, irriverenti, il Blasco (sic!) ne ha trovata una col disegno di una bocca che urla a squarciagola. Menestrelli in fama di alternativi che subito si normalizzano, vedi questo Motta, questo panettone sanremese che contro le discoteche sbotta: “Andatevene affanculo e rispettate le regole!”. Che ribelle! Subito confortato dal parigrado Lodo Guenzi che è il gemello siamese del sardina Mattia. Certo, negli anni ’70 erano lacerati tra l’obbedienza al Pci, altrimenti non lavoravano, e l’occhiolino alle Br, se no li pestavano sul palco.

Ma adesso è in un certo senso peggio, la discrasia utilitaristica è scaduta ad un pendolo di ortodossia tra Zingaretti e Burioni. La mejo è Paola Turci, già suffragetta del compagno Adriano Sofri al punto da visitarlo in carcere. Cattocomunista ortodossa, sprezzatrice da competizione, insofferente a Salvini, Meloni e il resto del cocuzzaro di opposizione, per quanto educato e a volte timido, Turci tra un Sanremo e l’altro è scatenata nella sua personalissima propaganda, roba da fotofinish con Fiorella: tutte le cause buone sono sue, tutti i motivi per restare umani sono i suoi, tutte le ragioni per detestare Berlusconi sono sue, trinariciuta fin nelle corde vocali, e poi? Poi s’abbandona languida con l’amica Calippona sul panfilo di Berlusconi, perché Calippa ha svoltato, ha ereditato dai vivi.

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