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Daisy e le teste d’uovo della SCPC

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Flashback e piccola lezione di (non) giornalismo. Qualche giorno fa, per l’esattezza giovedì sera, all’improvviso, proprio all’ora dell’aperitivo, si sparge il panico nelle redazioni dei giornaloni: a
sorpresa, viene fuori che uno dei lanciatori di uova di Moncalieri è figlio di un consigliere comunale del Pd e di una attivista di Libera di don Ciotti. Inevitabile il tweet sghignazzante di Salvini, e prevedibili ondate di pernacchie sui social network verso un Pd ridotto a frittatina.

Peggio mi sento, spuntano pure i precedenti penali (e che precedenti!) del padre di Daisy: sfruttamento della prostituzione, mafia nigeriana, e una serie di altre (poco) nobili imprese.

Capite bene il dramma. In cinque minuti, rischia di squagliarsi ignominiosamente tutto il catafalco di boiate moralistico-sociologiche faticosamente messe in piedi per una settimana: il razzismo (di andata e di ritorno), il populismo xenofobo, l’intolleranza degli italiani, gli intellettuali mobilitati, Salvini come trigger demoniaco, le manifestazioni del Pd, “non bisogna abbassare la guardia”, “niente cali di tensione”, “vergogniamoci” (indimenticabile titolo del quotidiano del vescovi…), bla bla bla.

Ma le teste d’uovo (è proprio il caso di dirlo) della SCPC (Suprema Cupola Politicamente Corretta) non si sono perse d’animo. Come raccontarlo ai lettori senza sputtanarsi? Elementare, Watson: basta non raccontarlo. Nascono così le mitologiche prime pagine di venerdì mattina (da conservare e mostrare a figli e nipoti tra qualche anno, mi raccomando!) di Corriere della Sera, La Stampa e Repubblica.

Per giorni e giorni, avevano pubblicato titoloni d’apertura e commenti straziati. Ma venerdì mattina, improvvisamente, tutto sparito: assolutamente niente sulla prima pagina del Corriere, un richiamino minuscolo e ben mimetizzato sulla prima de La Stampa, un altro riquadrino (tre centimetri quadrati: con una buona lente d’ingrandimento siamo riusciti a identificarlo) sulla prima di Repubblica.

Badate bene: sul padre di Daisy, niente nemmeno nelle pagine interne. Troppo imbarazzante: meglio non spargere voce. Quanto ai lanciatori di uova, la parola chiave è: “goliardata”. Quindi, fino a poche ore prima, eravamo a pochi minuti dalla fine del mondo, a un quarto d’ora dall’Apocalisse xenofoba: poi, è diventato solo uno scherzo un po’ sciocchino.

In ogni caso, per trovare traccia della notizia, è servito un certo impegno.

Sul Corriere della Sera, è stato necessario arrivare a pagina 17: “Ragazzi di buona famiglia, amici per la pelle” lanciano uova contro ignari passanti “scelti a caso, senza premeditazione”. Chiaro, no? Ma anche voi siate comprensivi, diamine: “Nessuna matrice razzista, solo la voglia di sconfiggere la noia e la tensione di un’estate importante, quella dell’esame di maturità”. Ovvio: è proprio per dimostrare di essere maturo che uno va in giro a lanciare uova. E comunque il lancio l’avevano “visto in un film”. Quindi, sono anche cinefili: promettono bene.

Su La Stampa, bisogna arrivare a pagina 13. Servizio di cronaca: “Tre bravi ragazzi in fondo. E non è un modo di dire”. Il giornale di Torino ci spiega che è una ragazzata: “Al posto dei gavettoni, hanno lanciato uova”. Capito? “Non si sono accorti di aver fatto male a Daisy. Lo hanno scoperto il giorno dopo, e uno di loro si è sentito male”. Nel timore di non avervi commosso a sufficienza, La Stampa fa gli straordinari, e intervista direttamente il ragazzo, presentato così: “Un metro e novanta. Un ragazzone che ama fare sport ed è capace di stare dietro i fornelli per 18 ore filate. Sorriso simpatico”. Domanda: “Perché non hai avuto il coraggio di dire a tuo papà cos’avevi combinato?”. Risposta: “Non ho avuto il tempo”. Altra domanda: “Dopo aver lanciato l’uovo contro Daisy, cosa avete fatto?”. E lui: “Il secondo lancio”.  Capite bene che a uno così sveglio bisognerebbe quasi dare un premio, insomma. Un vero fenomeno.

Su Repubblica, la pagina è la 3 (quindi obiettivamente la notizia è un po’ meno nascosta), ma si tratta solo di tre colonnine di cronaca con già nel titolo la chiave di lettura minimizzatrice: “E’ stata solo una goliardata”. L’articolo spiega che quella dei ragazzi è stata una “confessione piena e sofferta”. Ma il padre di Daisy (che qui è magicamente citato: ma solo come vittima e parte lesa) non fa sconti, e si chiede “cosa sia passato per la testa ai ragazzi”.

Questo è il modo in cui i giornaloni hanno nascosto, ridimensionato, smussato, attenuato tutto, dopo una settimana di grancassa (ma solo fino a quando la notizia faceva comodo). Prima i tromboni e poi le forbici d’oro, si potrebbe dire. Ricordatevene la prossima volta che sentirete predicozzi su libera informazione, stampa indipendente, deontologia giornalistica, e lotta alle fake-news.

Daniele Capezzone, 6 giugno 2018