Questi 45 giorni di crisi politica ci possono però dare qualche spunto su quello che toccherà all’economia, quella dei palazzi e quella dei conti pubblici, nei prossimi mesi.
I due attori, Lega e Movimento cinque stelle, indipendentemente dal governo che si farà, hanno idee precise e talvolta coincidenti. Vediamole, per punti sintetici.
1. Le partecipazioni pubbliche e le controllate del Tesoro contano, eccome. Inimmaginabile tenersi in consiglio e in ruoli di vertice toscanacci del passato governo. Il che vale per il numero uno delle Ferrovie (troppo impegnato a fare finanza e poco sui binari), ma anche per gli uomini Consip. Difficile pensare che si dismettano quote e aziende, semmai il contrario. La Cassa depositi e prestiti, braccio armato del Tesoro, si è rapidamente riposizionata. E ora l’italianità conta, a partire da Telecom, a cui si deve estirpare la rete. Anche Alitalia sembra non essere più for sale, come un tempo. Per ora si sono prorogati i termini di sei mesi. Ma qualcuno può immaginare che a settembre od ottobre dell’anno prossimo la compagnia ex di bandiera venga ceduta, con esuberi connessi? Difficile.
2. Le banche sono state l’oggetto degli strali delle due forze vincitrici delle elezioni. Stanno a Salvini come il Pd e a Di Maio come Berlusconi: infrequentabili. Da segnalare dunque la mossa di Carlo Messina. La sua Intesa è la banca più di sistema del Paese e nei giorni scorsi ha fatto un accordo internazionale che la mette al riparo da ogni rischio regolamentare. Facciamola facile, con una mossa geniale, ha ceduto 11 miliardi di suoi prestiti porcheria ad un prezzo che gli altri si sognano. E lo ha fatto mettendoli in una scatoletta di cui non ha la maggioranza. Intesa oggi non ha «scheletri nell’armadio» per dirla con un gergo «populista». Ha incassato una lauta plusvalenza dalla cessione di Italo. E ha un assetto azionario relativamente tranquillo. Al riparo.
3. Sulle Authority ci sarà da fare un gran lavoro. Molte hanno ancora una buona vita residua. Ma se i nuovi politici dovessero adottare il metodo presidenze della Camere, non ce ne sarebbe per nessuno. Anche per Forza Italia, se non dovesse far parte della squadra: interna o esterna che sia. Chissà come gli euroscettici e risparmiosi nuovi potenti considereranno la nuova presidenza della Consob affidata al funzionario europeo Nava. Che ha fatto due passi niente male. a) Il primo chiedere il distacco dalla commissione europea: insomma un funzionario della Commissione distaccato alla guida di una delicata autorità indipendente italiana non è niente male. L’ufficio legale interno della Consob starebbe valutando la richiesta del suo presidente. b) E poi il trattamento fiscale del suo stipendio (ridotto a 240mila euro per il tetto imposto da Renzi) sarebbe quello agevolato permesso ai dipendenti brussellesi. Vallo a spiegare a Fico.
4. Sul lavoro ci saranno gli attriti più forti. Sulle sedie ci si mette d’accordo, sui principi è più difficile. Come la mettiamo con quelle parti del Jobs act che non piacciono ai precari di Di Maio, ma convincono artigiani e piccoli imprenditori di Salvini? Prendere tempo.
5. Sui conti pubblici sono tutti d’accordo. E in fondo lo era anche il Pd di Renzi, che non ha ridotto il deficit quanto avrebbe dovuto secondo i piani europei. Ebbene tutti hanno intenzione di usare il deficit per spendere. Con un piccolo problema che il governo precedente non aveva: e cioè che da 70 miliardi di euro l’anno, il conto del servizio del debito pubblico potrebbe rapidamente impennarsi se i tassi di interesse, come è probabile, saliranno. E allora saranno guai.
Nicola Porro, Il Giornale 22 aprile 2018