Politica

I voltafaccia pentastellati

Dal reddito al taglio dei parlamentari: tutti i disastri dei 5 Stelle

Di Maio lascia il Movimento rinnegando le fondamenta grilline. Restano però le misure scellerate di questi anni

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Dunque, come ampiamente anticipato su queste pagine, alla fine è arrivata l’attesa scissione dell’atomo dentro il Movimento 5 Stelle. Luigi Di Maio, avendo da tempo dismesso gli abiti di leader anti-sistema, che lo condussero ad amoreggiare con i gilet gialli di Francia, ha annunciato ai giornalisti la sua svolta responsabile, promettendo di orientare il suo nuovo partitello, “Insieme per il futuro”, verso un approdo responsabile, scevro di populismo e di facile demagogia, evitando di proporre al Paese, testualmente, soluzioni semplici per problemi complessi. Cioè, esattamente quello che lui e i suoi ex colleghi pentastellati hanno promesso nelle elezioni del 2018 ed, ahinoi, hanno in gran parte tentato di realizzare non appena hanno messo piede nella cosiddetta stanza dei bottoni, con esiti devastanti per la società italiana.

I fallimenti del Conte premier

A cominciare dalla designazione di un premier imbarazzante come Giuseppe Conte, del tutto inconsistente soprattutto durante il suo primo ministero, i grillini in poco tempo sono riusciti ad inanellare una sequela di disastri senza precedenti. In particolare, nel lungo elenco dei loro fallimenti, pagati a caro prezzo dal sistema Paese, spiccano il reddito di cittadinanza, la “riforma” Bonafede della prescrizione e la insensata riduzione dei parlamentari, i cui destabilizzanti effetti sono paradossalmente ben presenti nella succitata scissione, dal momento che la consapevolezza di una quasi impossibile rielezione ha accelerato il processo di disgregazione, già in atto da tempo, all’interno dei pentastellati.

La rovina del reddito di cittadinanza

In estrema sintesi possiamo dire che, se prima il sistema presentava molte annose criticità a cui nessuno aveva voluto o potuto mettere mano, dopo il passaggio della meteora grillina le cose risultano ulteriormente peggiorate, sebbene la grande distrazione di massa della pandemia, a mio avviso, ha contribuito a nascondere i gravi danni provocati dagli epigoni di Beppe Grillo. Di fatto, con l’introduzione a regime del reddito di cittadinanza, che analogamente ad altre misure simili -vedi i famosi 80 auro di Renzi – risulta quasi impossibile abolire per chi viene dopo per ovvi motivi di consenso, si è ulteriormente innalzata l’asticella della spesa corrente, rendendo ancor più fragile la sostenibilità del nostro colossale debito pubblico.

Riforma Bonafede, svolta forcaiola

Inoltre, con la riforma Bonafede della prescrizione, che in sostanza la interrompe dopo il primo grado di giudizio, si sono creati gli agghiaccianti presupposti per esporre qualsiasi cittadino alla spada di Damocle di un processo penale infinito. Tutto questo per accontentare la componente più forcaiola dell’intellighenzia grillina, se così la vogliamo definire, degnamente rappresentata da Marco Travaglio, il più manettaro degli opinionisti in circolazione.

Taglio parlamentari, pura demagogia

Ultimo ma non meno importante vi è il provvedimento che riduce di oltre un terzo i parlamentari della Repubblica. Una misura oltremodo demagogica che, per timore di favorire una sorta di populismo di risulta, l’intero panorama politico ha dovuto ingoiare quasi senza colpo ferire. Sul piano pratico se agli albori della Repubblica i padri costituenti consideravano congruo il numero di 945 rappresentanti del popolo, tra deputati e senatori, su una popolazione di circa 45 milioni di abitanti, i grillini hanno reputato più ragionevole abbassare questa soglia ad appena 600 parlamentari, nell’ambito di quasi 60 milioni di cittadini.

E sebbene io creda fermamente nel principio liberale secondo cui il miglior sistema politico è sempre quello in cui si governa il meno possibile, mi rendo anche conto che per come è attualmente strutturato il nostro sistema parlamentare, un così drastico taglio non può che rendere ancora più lenti e farraginosi i suoi complicati meccanismi. Tutto questo, che sul piano del bilancio pubblico non porterà alcun beneficio sostanziale, aumenterà ulteriormente il peso di chi tiene il pallino all’interno dei partiti, a detrimento delle minoranze e del dibattito interno.

Ma ovviamente, quando fu pensata questa ennesima genialata da bar dello sport, i pentastellati erano convinti che la loro democrazia diretta in stile marchese del Grillo, nella quale a contare era solo il suo fondatore o giù di lì, avrebbe potuto fare anche a meno dell’intera rappresentanza parlamentare, sostituita dalle democraticissime consultazioni online della Casaleggio Associati.

Claudio Romiti, 22 giugno 2022