Esteri

Dalla Serbia al Donbass: quello che non vi dicono sull’invasione di Putin - Seconda parte

Dal rovesciamento del governo Yanukovich del 2014, le milizie nazionaliste, specialmente provenienti dalla Galizia (una regione che fornì un’intera divisione SS e in cui ci sono anche oggi dei nostalgici), hanno commesso violenze ai danni dei russi, ad esempio a Odessa bruciarono vivi 34 russi che si opponevano al governo uscito dal colpo di stato del 2014.  Solo due settimane fa hanno assassinato uno degli stessi negoziatori ucraini perché considerato filorusso. Questi fatti non esistono però sui media americani e sembra ora anche sui media italiani. Di conseguenza, sembra che anche questa volta noi seguiamo la linea americana di politica estera e politica mediatica e fingiamo che l’Occidente combatte per la libertà e i diritti umani contro un dittatore come Saddam o Assad o Gheddafi.

Purtroppo, le guerre in Medio Oriente scatenate dagli interventi Usa, oltre ad aver portato centinaia di migliaia di morti, hanno creato conseguenze in termini di terrorismo islamico di ritorno che ha colpito l’Europa per anni (a Parigi, Londra, Madrid e poi anche in Germania, Belgio… per fortuna non in Italia). E anche di ondate di immigrazione e rifugiati da questi paesi. Gli Usa, oltre agli interventi militari, tramite la potenza dei conglomerati media americani, l’utilizzo di finanziamenti diretti e anche di una rete di enti “NGO” attraverso cui passano milioni di dollari, hanno orchestrato il “regime change” cioè fatto cambiare il governo, in paesi come l’Ucraina o la Georgia. Quando però intervengono, sia con militari che indirettamente armando o finanziando milizie e movimenti locali, in Iraq come in Siria come in Ucraina, i risultati sono negativi. Quasi sempre ci sono state guerre e conflitti che si trascinavano per anni. Ed è questo purtroppo che può anche verificarsi in Ucraina.

I motivi per cui l’élite americana degli ultimi 30 anni adotti questa politica di continuo intervento in paesi lontani si possono discutere, ovviamente. Ma quello che conta sono i risultati pratici, che sono stati sempre diversi da quello che promettevano i leader americani o gli editoriali del “New York Times”. Non tutti i paesi però sono deboli come quelli del Medio Oriente o l’Ucraina. La Russia lo è economicamente, ma ha materie prime, forza militare, ora anche una forma di alleanza con la Cina e gode della neutralità dei maggiori paesi asiatici, africani e sudamericani. La posizione russa nei negoziati sembra essere l’indipendenza delle province di lingua russa oltre che la neutralità dell’Ucraina.

In Kosovo la Nato bombardò la Serbia perché non voleva riconoscerne l’indipendenza. Si potrebbe persino sostenere che il Donbass e Crimea sono una situazione simile al Kosovo, province di lingua ed etnia differente che non si riconoscono nel governo centrale che invece insiste per controllarle e in cui ci sono violenze da anni. Il ricordo dell’Urss che settant’anni fa occupava la Cecoslovacchia o l’Ungheria non va confuso con una questione circoscritta ad alcuni milioni di russi nell’est e sud dell’Ucraina. Non esiste nessuna evidenza che la Russia di oggi, con 146 milioni di abitanti e un’economia sottodimensionata, voglia occupare tutta l’Ucraina con 40 milioni di abitanti e piena di nazionalisti che poi combatterebbero come nella ex Jugoslavia. Perché dobbiamo anche noi italiani ed europei scontrarci ora, dare armi, finanziamenti, sanzioni e boicottaggi a 360 gradi per impedire alle province russe di essere indipendenti?