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Il "nuovo" The Donald?

Dall’Ohio a Netflix: chi è il nuovo idolo della destra di Trump

La stagione del sovranismo non è finita. Tra i repubblicani emerge una nuova classe dirigente

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La stagione del sovranismo è davvero finita quella notte del 4 novembre 2020 quando Joe Biden risultò vincitore delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, cioè di quello che resta il Paese guida dell’Occidente e quindi il battistrada di ogni rivoluzione, non solo politica, così come di ogni restaurazione? E quella del vincitore, il quarantaseiesimo presidente americano, già vice con Obama e politico di vecchia data, proprio l’aria di una restaurazione sembrava avere. Il pericolo, diceva all’unisono la stampa mainsream e il deep state, era stato scampato, gli icsos che avevano invaso la cittadella della democrazia erano stati scacciati e tutto finalmente era tornato come prima. Donald Trump: null’altro che una triste parentesi che sarebbe stata dimenticata, anche perché gli sarebbero state presto tolte le sue armi mediatiche (in primo luogo twitter).

Che le cose stiano così, ora che si approssimano le elezioni di mid term, non si può proprio dire: non solo Biden non ha combinato quasi nulla di buono, ma Trump non ha certo disarmato. Il tycoon non solo non si è perso d’animo, ma in sostanza sembra avere ancora in mano buona parte del GOP. Non è detto che il sovranismo si ripresenterà nella forma originaria, ma è evidente che le domande che esso poneva, e che riguardano il disagio dell’uomo qualunque e dimenticato a cui era stato sottratto negli anni il “sogno americano” di una vita migliore, non sono scomparse. Né i democratici sono minimamente in grado di rappresentarle. Ed è proprio in casa repubblicana, sotto gli auspici più o meno diretti di Trump, che sta emergendo una nuova classe dirigente che dal trumpismo sembra essere stata almeno in parte forgiata.

La più interessante di queste nuove leve è forse, o senza forse, il “trumpiano” James Donald Vance, che ha appena vinto le primarie in Ohio. Stampa e commentatori liberal si sono affrettati a screditarlo come la “brutta copia” del presidente uscente, ma in verità egli sembra essere piuttosto una sua “bella copia” per età, dinamismo e storia personale. E per il fatto di rappresentare in maniera molto più netta quel “sogno americano” che promette a tutti, anche ai più umili, di raggiungere con impegno e sacrificio i vertici della vita sociale.

Di Trump, J.D. Vance fa propria la visione dualistica: da una parte le élite traditrici e dall’altra il popolo tradito. E fa proprio lo stile aggressivo volto a distruggere con il sarcasmo e le parole forti l’avversario. Dalla sua, però egli ha l’età, solo 37 anni, e soprattutto il fatto di essere partito da condizioni familiari di povertà estrema e disagio: figlio adottivo, con madre tossica, senza un dollaro in tasca ma con tanta volontà di impegnarsi, fino ad arrivare a Yale e laurearsi nella prestigiosa università. Quindi, approdato a San Francisco, una fortunatissima e rapida carriera nel venture capital dell’industria tecnologica, il successo come romanziere e infine l’impegno in politica (prima nemico di Trump e poi a lui sempre più vicino).

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