Damiano senza i Maneskin, ormai è la telenovela del terrore

Il cantante simbolo del gruppo ha pubblicato un enigmatico video in cui dà appuntamento ai suoi fan da solista per il 27 settembre

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Damiano Maneskin

Poi diranno che la colpa è mia, ma se io avessi avuto il potere di disciogliere i Maneskin non li avrei neanche lasciati coagulare. Almeno ci si risparmiava l’ennesima truffa di un tempo truffaldino. Sì, è colpa mia avere detto che questi non duravano, perché non esistevano, è colpa mia avere detto che sono quattro pupazzetti a scadenza e difatti sono scaduti, peggio, decaduti, degradati. E ve la prendete con me? Altro che rockstar, voi l’avete vista mai una rockstar che dice di votare la Ue e la Baronessa Ursula? Dai, siamo oltre il cringe. Questi stanno alla Baronessa come l’altra avatar musicale, Taylor Swfit, sta alla Kamala. Che pena, perfino oltre Bruce Springsteen, il Boss dei leccaculi, uno che dice “Se vince Trump lascio l’America”, certo, come no, e dove sta un potente Dem gli si lancia addosso. Un Benigni rock, insomma, anche se non è rock, è un folk da camionista.

Poi non è vero che spostano voti, spostano soldi, che è tutt’altra storia, ma voti per carità, l’endorsement dei quattro miracolati romani non ha salvato la Baronessa Siringa da una umiliazione elettorale, risolta con metodi camorristici, con alleanze di clan, vergognose. Ma la filosofia circolante è che tutto fa brodo e, soprattutto, tutto fa soldi. Questi fanno i testimonial del sovrastato autoritario, della finanza globale che fagocita i media e i media si riempiono della loro aria mefitica. Così, con la sincronia di un corpo di ballo, tutti i giornali del regno d’Italia oggidì si preoccupano del Damiano: che fa? Dove va? Fa un singolo. C’è lo spottino: “Dove vuoi andare?”. “Dappertutto, everywhere”. Io avrei un’altra risposta, ma va benissimo, pur che questo si tolga dalle palle.

Ma dove vuoi che vada, questo resta, chi glielo fa fare, è come il Cavaliere che salì in groppa al destriero e partì in tutte le direzioni, ma sempre in mezzo sta. È la telenovela del terrore dei Maneskin che si disciolgono però no però sì, forse ci vorrebbe il vaccino perché questi sono un virus, però andrebbero richiusi loro in lockdown perenne. E basta, e che palle. Prima la bassista bassina senza basso e senza misure, sexy come la Minnie di Topolino, che fa un singolo di rara sciattezza ipervolgare, ovviamente fluido, qui si fa arte e l’arte non ha chi le dica dove andare, everywhere. Poi questo qua, il cantante dalle mille maschere e nessuna faccia, che va “Everywhere” e le fanciulle, molte in modalità Petrillo: “Sono sempre più sconcertat* e disperat*”. Che è quello che vuol il Manikin. Atterrire all’idea del discioglimento. Perché non fa cenni ai suoi vecchi comprimari, eccetera. Ma questi, tranquilli, mica si disciolgono: si squagliano, come previsto (e non è colpa mia).

Le “voci di crisi” nient’altro sarebbero che il gioco disvelato: artisticamente non vanno da nessuna parte, sono sottovuoto spinto, è andata anche troppo di lusso, ma adesso, come predisposto, scatta la fase 2: la dispersione, i due più mediatici, più sponsorizzati – borse, griffe, macchine, compagnie telefoniche, questi sono testimonial, sono influencer – li mandiamo ciascuno per la loro strada; gli altri due, che fanno dormire e stanno sotto l’apparenza, si arrangino, magari potrebbero fare un singolo a tre con la pompeiana esperta, che subito dopo li rovina. Insomma stiano lì, che tanto poi tornano: che i Manikini si disciolgono per davvero, nessuno lo dirà mai (ma tutti lo lasceranno intendere), in quanto recuperabili alla circostanza, un’ospitata qua, un Sanremo là. Esaurita la fase delle carriere soliste, che è una presa in giro forse ancora più grande, e non “anderà” da nessuna parte, arieccoli. Tipo quei due insopportabili, i fratelli Oasis, che hanno passato la vita a fingere di picchiarsi e dopo trent’anni tornano, incartapecoriti, per una riunione al di là del patetico.

Non temete, i Manikini al massimo trenta mesi. È tutto organizzato a questo mondo: crisi di governo, governi tecnici, elezioni, contro-elezioni, pompeiane esperte, transizioni, migrazioni, pentimenti, discioglimenti e ricoagulazioni. I Maneskini sono una busta di surgelati, basta tenerli in freezer e scongelarli alla bisogna. Ancora voi? Ma non dovevamo sentirvi più? E davvero non è colpa di chi scrive se vi spiega come girano le cose a questo mondo di ladri, di mercanti e di illusionisti. E di Taylor Swfit che correggono il Pil e tirano la volata alle Kamalle. Una cosa è certa, questo Manikin del Damiano non sarà mai una rockstar: dove sta il carisma, dove l’attitudine? Dove l’anima? Non basta dimenarsi in calze a rete, se lo fa Iggy Pop fa spavento e ammalia, se lo fa questo qui, fa ridere. Tristemente.

Il carisma non te lo puoi dare, come il coraggio, non è fatto di uno sterile sbraitare fra un atelier e l’altro, diciamo che questi cartonati della musichetta si sono prestati, che occupano lo spazio vuoto, stanno al rock come Fedez sta all’autotune e la ex moglie ai pandori, ma artisticamente men che deperibili. Sono miraggi e i ragazzini oggi crescono a miraggi, si sfamano col fumo dell’apparenza. “Sono disperat* e sconcertat*”. Sì ma tranquill, il Maneskin non va da nessun part, e quest è la stor di quel grupp che non si disciogl ma si disciogl però non si disciogl, se poi volete saperne di più contattate l’ufficio comunicazione di Gucci (la nostra carismatica stellina alla vaccinara si è pure rasato il logo sulla capa), reparto false rockstar, è una divisione enorme, piena di pupazzi da addobbare, ma, con un po’ di pazienza, prima o dopo vi rispondono.

Max Del Papa, 12 settembre 2024

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