Esteri

Darmanin, chi è l’incapace? Criticava Meloni, ma ora la Francia brucia

Il ministro francese aveva criticato la gestione dei migranti da parte del premier. Farebbe meglio a guardarsi in casa

Con la faccetta un po’ così, quell’espressione un po’ così, che mi ritrovo, io son Darmanin. Com’è che diceva il ministro dell’Interno francese? “Meloni incapace sui migranti”? Neanche due mesi e si ritrova in piena guerra civile, alla faccia des les compétent. Perché quella che erutta dalle parti sue è una guerra civile, di francesi contro francesi, più o meno naturalizzati, più o meno di nuova generazione ma francesi. Va sempre a finire così con questi: il nasino all’insù, il ditino all’insù, e le brache all’ingiù.

Tremilacinquecento roghi, quattrocento gendarmi feriti, settecento arresti in una volta, urla e sangue ovunque, banlieu in bollore, Macron, altro tipino fino, che scappa precipitosamente dal Consiglio europeo per tornare in una Parigi sconvolta: loro sì che con gli afflussi ci sanno fare. Tre giorni e tre notti di violenze fuori controllo dopo la morte di un diciassettenne immigrato per mano di poliziotti e sempre più incombe la soluzione estrema, lo stato di emergenza che poi è stato autoritario, regime in difesa delle istituzioni come invocato chiassosamente dall’estrema destra. Lo faranno, non hanno altre carte da giocare, ogni altra partita è perduta, però che ironia: sempre quella faccetta da Darmanin accusava la nostra premier di essere fascista e in quanto tale disumana sui migranti, oltre che incapace.

Francese, cura te stesso. Se ancora ti riesce. A Milano, a Roma la situazione è peggio che critica, ma a Parigi è definitivamente collassata. Anni, decenni di lassismo, di occhi chiusi, di politiche tolleranti al limite del connivente hanno reso la capitale una città lugubre, di zombie che girano, esperienza di chi scrive, con machete, coltelli lunghi da qui a lì e ti vengono addosso. Non solo nelle zone critiche come Porte d’Italie, come Rue de Victor Hugo, dove nel 1980 i Rolling Stones prendevano casa in quanto strada pullulante di spacciatori di servizio. La situazione in venti anni si è dilatata, ha tracimato. Nessuno ha mai voluto porre un freno, i vari governi di sinistra si sono limitati ad assecondare la deriva, spostando l’attenzione sull’Italia razzista e crudele. Ma le periferie sono prese e chi le ha conquistate muove verso il centro.

C’è poco da girarci intorno: la polizia è stanca di fare da bersaglio mobile o fisso senza reagire e lo stesso però protestano gli africani, le altre etnie d’importazione che poco e male, sempre peggio, si adeguano alla cultura e alle leggi di un paese europeo allo sbando. Tutti accusano tutti, tutti hanno le loro ragioni vere e false, tutti dicono il vero e mentono, e nessuno sembra sapere cosa fare. I tumulti sono partiti come sempre da una scintilla: un giovane ritenuto pericoloso non si ferma al posto di blocco, viene fulminato, la reazione è immediata e furibonda, la prateria prende fuoco. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato troppo tempo fa e nessuno sa più come richiuderlo; forse nemmeno vuole.

Ideologie e affari si legano, si confondono, opportunismi nazionali ed europei ribollono nella fucina degli errori che poi paga la plebe e la plebe è ormai un calderone di etnie mescolate che però non si sposano, non si armonizzano, si può nascere francesi ma si resta altrove e i conflitti sono lì, pronti ad esplodere. Poi le pubblicità woke delle multinazionali possono dipingere tutte le città da mulino caramello che vogliono, ma sono luoghi immaginari, luoghi pubblicitari.

Giorgia Meloni, chiamata a salvare il salvabile dopo decenni di analoghe politiche della sinistra italiana, si trova davanti a compiti improbi e probabilmente irrisolvibili; ha scelto di affrontarli non direttamente ma da una prospettiva europea, internazionale, viaggia molto, stringe accordi, suscita simpatia e rispetto, punta a diventare la nuova Merkel che può governare l’Italia da una posizione di forza nell’Unione ma sa che i pericoli sono tanti e sono continui: i falansteri di Bruxelles e di Strasburgo non la amano, ogni giorno la sinistra unionista le tira tra i piedi qualche bombetta, una volta un pacchetto Natura, un’altra una transizione ecologica che ha del criminale, poi c’è la leva finanziaria, quella del credito, ci sono le scriteriate manovre della Lagarde che è un fantoccio di Draghi che agisce come consigliere della nostra Giorgia; la quale un po’ sorride e un po’ le scappano i cavalli, si fida e non si fida, deve barcamenarsi, diffida di tutti e fa bene ma non può arrivare dappertutto da sola.

Poi la coperta è corta, le emergenze dirette, nazionali ci sono e sono complicate, e certi ministri non sembrano francamente all’altezza. Lei per ora ha scelto un profilo basso in patria, una sorta di attendismo vigile, agevolata da una opposizione da operetta e da una informazione pubblica che per il momento resta alla fase della sudditanza strategica. Di sbarchi, di Lampedusa non si parla più ma continuano come e più di sempre, le città sono sempre più a rischio anche se non ancora a livelli parigini, ma fino a quando? Pare che donna Giorgia, tra lo scherzoso e il serio, abbia confidato a qualche collaboratore: altro che vertici, mi piacerebbe andare al concerto dei Red Hot Chili Peppers e questa è la Meloni che preferiamo, rock, incazzosa e ancora giovane, quasi ingenua. Non quella dei dadaumpa con la Baronessa, strategici ma sconcertanti.

Comunque sia se Roma piange Parigi non ride anzi si dispera. Stanno su una polveriera che si sono riempiti da soli, le prospettive sono incerte e comunque terrificanti, non solo per loro, chissà se la lezione gli sarà servita. A giudicare dagli ultimi duemila e rotti anni di storia, difficile.

Max Del Papa, 30 giugno 2023

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