Facile fare semplice ironia. I due centri per migranti in Albania sono appena partiti con l’arrivo di 16 stranieri che subito quattro di loro hanno dovuto fare rientro in Italia. Si tratta di due presunti minorenni (sul tema si potrebbe aprire un dibattito lungo un secolo) e due persone “vulnerabili”, ovvero soggetti che avrebbero subito torture o che si trovano in condizioni psicofisiche particolari. È un “fallimento”, come denuncia la sinistra? No. E proviamo a spiegare perché.
Nessuna delle politiche contro le migrazioni messe in atto in questi anni sono riuscite nell’immediato a risolvere il problema. Ogni nuova soluzione va rodata, bisogna trovare i procedimenti giusti, e soprattutto far fronte agli “escamotage” che via via vengono trovati dai migranti per sottrarsi alle procedure di identificazione. Forse non lo ricordate, ma ai tempi dei governi di sinistra negli anni del boom di sbarchi gli altri Stati dell’Ue ci accusavano di essere un groviera per il numero quasi indecoroso di stranieri che facevamo sbarcare e di cui poi si perdevano le tracce. Per non parlare degli scandali dell’accoglienza, con centri profughi che non rispettavano gli standard minimi e in cui gli “ospiti” venivano trattati in maniera disumana. Qui non sta accadendo nulla di tutto ciò: parliamo di quattro immigrati a cui, forse anche per eccesso di zelo, l’Italia sta concedendo il diritto di verificare le loro età e le loro condizioni direttamente nel Belpaese e non nei due centri alla frontiera. Tutto sommato è la prova che il ministero sta cercando di fare tutto secondo le regole, realizzando i giusti colloqui nell’hotspot dopo il primo screening sulla nave, valutando le situazioni caso per caso, senza chiudere gli occhi di fronte ai racconti delle violenze subite e a chi si auto-dichiara minorenne. Fosse stato un “lager” o una “deportazione disumana”, come denuncia la sinistra, li avrebbero lasciati lì e amen. Invece no.
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Anche perché ad effettuare la prima scrematura, per selezionare solo i maschi adulti “non vulnerabili” da portare in Albania, sono operatori dell’Organizzazione internazionale dei migranti (l’Oim), non pericolosi razzisti. Nel caso in questione, 80 naufraghi partiti da Sabratha e Zuara, in Tripolitania, erano stati soccorsi dalle autorità italiane in acque internazionali, tra questi sono stati selezionati i maschi adulti provenienti dai Paesi considerati sicuri (Egitto e Bangladesh) e quindi fatti salire sulla nave Libra diretta a Sehngjin. Si poteva fare di meglio? Detto in altre parole: si poteva verificare prima l’assenza dei requisiti dei quattro immigrati rimandati in Italia? Forse sì. Ma date tempo al tempo: le procedure devono essere ancora “registrate” e in fondo non è che a Lampedusa nell’hotspot superaffollato (ricordi, cara Lamorgese?) i “fragili” e i “minori” in passato abbiano vissuto meglio.
Intanto gli altri 12 immigrati sono già stati portati nel centro di Gjader, a 20 chilometri dal porto: qui le loro domande di asilo verranno valutate in 28 giorni. Se avranno diritto a rimanere in Italia, potranno accedervi. Altrimenti via al rimpatrio. Una procedura così breve sarebbe un mezzo miracolo: nel 2019 per comunicare a un migrante se aveva diritto o meno a restare in Italia ci volevano mille giorni. Due anni per il primo appuntamento, tre mesi per la risposta. Sicuri andasse meglio allora?
Giuseppe De Lorenzo, 17 ottobre 2024
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